«La Spagna va verso una fase di instabilità politica e ci vorranno anni per assistere a una ripresa del Psoe». Ne è convinto Fernando Vallespín, intellettuale d’area socialista,cattedratico di scienze politiche all’Universidad Autónoma di Madrid ed editorialista del País.

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Dall’auge di Zapatero al tracollo di Rubalcaba. Splendori e miserie di un Psoe che cerca di ricostruirsi.

La caduta libera del Psoe va di pari passo con l’erosione della sua credibilità. È vero che la prima legislatura di Zapatero è stata positiva, ma è vero anche che questo calo di credibilità è iniziato proprio con Zapatero, durante il suo secondo mandato, quando il Psoe ha dilapidato la fiducia degli elettori tacendo fino all’ultimo la crisi, salvo poi fare una frettolosa marcia indietro che ha avuto pesanti conseguenze sulla politica economica e ha creato danni enormi all’immagine del partito.

Dove finiscono le colpe di Zapatero e dove iniziano quelle del segretario uscente Rubalcaba?

Più che di colpe di Rubalcaba io parlerei di un errore del partito nell’affidargli la segreteria. Rubalcaba è un uomo della vecchia guardia (già ministro dell’Istruzione e sottosegretario alla Presidenza del consiglio con Felipe González e vicepresidente del governo con Zapatero, ndr), garanzia di continuità rispetto al vecchio concetto di partito chiuso, oggi così contestato anche dalla base socialista. Con la sua nomina il partito ha perso un’occasione per dare un segno di rinnovamento, ma Rubalcaba ha fatto esattamente ciò che gli si chiedeva: un’opposizione moderata e di transizione. In questo senso lo definirei addirittura una figura tragica: leader del primo partito d’opposizione e, allo stesso tempo, uomo di stato,inevitabilmente accondiscendente nei confronti delle scelte economiche del governo e di Bruxelles. Ha scontato quest’ambiguità costitutiva in termini di voti.

Infatti: visti anche gli ultimi risultati elettorali di Podemos e Izquierda unida (Iu), non sarebbe stato meglio puntare su un’opposizione più di sinistra?

Fino a un certo punto. Converrebbe spostare baricentro un po’ a sinistra, ma i socialisti commetterebbero un errore se si lanciassero alla rincorsa dei partiti più radicali. Se il Psoe – che è un partito di centrosinistra – si traveste da Podemos o da Iu, l’elettorato più radicale preferirà la versione originale alla copia, mentre quello più moderato potrebbe bussare ad altre porte. Inoltre nella contestazione radicale di partiti come Podemos c’è una componente di populismo (che in Spagna ha attecchito più a sinistra che a destra, contrariamente al resto d’Europa) a cui il Psoe – partito con aspirazioni di governo e vincolanti responsabilità istituzionali – non può e non deve cedere. Il futuro dei socialisti si gioca sulla riconquista di uno spazio definito nel panorama politico attuale, lontano dalla demagogia e vicino alla sinistra moderata.

A chi si rivolge oggi il Psoe?

Di certo non ai giovani: la media d’età degli elettori del Psoe è di circa 50 anni e questo è un grave problema che il nuovo segretario dovrà affrontare. I socialisti cercano di parlare alla classe media urbana di sinistra moderata, ma è proprio in questa fascia sociale che stanno perdendo più voti: basta guardare i risultati di Madrid o di Barcellona alle ultime europee (-16% e -20% rispetto alle europee del 2009, ndr).Tengono, invece, nelle regioni più periferiche e rurali come Andalusia, Extremadura e Asturie, con il rischio che il Psoe, da partito di massa, diventi un partito regionale.

Qualche segnale di ripresa all’orizzonte?

Non mi pare. Direi che le sorti del sistema bipartitico sono segnate. Però proprio in questo cambio di sistema potrebbe aprirsi una possibilità di riscatto per il Psoe, dato che l’agonia del bipartitismo porterà a una fase di instabilità politica simile a quella vissuta da paesi come la Grecia. Una fase di transizione in cui le forze politiche dovranno affrontare questioni cruciali come la riforma costituzionale. Qui il Psoe potrebbe conquistarsi un ruolo di primo piano facendo valere, da sinistra, la sua vocazione istituzionale e pragmatica. Se saprà tenersi lontano da grandi alleanze in stile tedesco (che forse lo riporterebbero al governo ma che gli darebbero il colpo di grazia come grande partito di massa di sinistra), se non cederà ad affrettati calcoli elettorali evitando di invadere il campo delle formazioni radicali, riuscirà forse a ricostruirsi una credibilità e un’identità. In ogni caso parliamo di un processo che potrebbe richiedere anni.

E che potrebbe iniziare proprio con le primarie…

Le primarie sono un’iniziativa importante verso la costruzione di un partito più aperto e trasparente.Un passo a cui, peraltro, la cupola del Psoe ha guardato con un certo sospetto, cedendo solo sulla spinta dell’inderogabile necessità di rinnovamento e del precedente dei socialisti francesi con Hollande. Però, al di là della funzione cosmetica, le primarie potranno innescare un vero cambio solo se il nuovo segretario riuscirà a parlare a tutti gli elettori e non solo ai militanti del partito.

Chi tra i tre candidati potrebbe riuscirci?

Non è facile da dire. La voce fuori dal coro è quella dell’esponente dell’Izquierda socialista Pérez Tapias, che però rappresenta una corrente minoritaria ed è praticamente fuori dai giochi. Tra Sánchez e Madina è difficile apprezzare differenze. Il primo è espressione più diretta delle gerarchie del partito, mentre Madina potrebbe rappresentare un piccolo passo avanti sulla via del cambiamento, anche se, in ogni caso, non si esce dal solco di una sostanziale continuità rispetto al presente: la scelta sarà sulle persone piuttosto che sulle idee. Detto questo, chiunque sarà il nuovo segretario, dovrà confrontarsi con la presidente dell’Andalusia, Susana Díaz, vera donna forte del partito e probabile candidata alla presidenza del governo nel 2015.

Il futuro del Psoe passa inevitabilmente dalla Catalogna. Che atteggiamento dovrà adottare il nuovo segretario sulla questione dell’indipendentismo?

L’unica via percorribile, che darebbe un po’ di ossigeno al Partito socialista catalano, è quella di una riforma federale che conceda alla Catalogna più autonomia, soprattutto a livello fiscale: una terza via – sostenuta peraltro da Madina e Sánchez – tra l’immobilismo di Rajoy e l’indipendentismo di Esquerra Repubilcana e Convergència i Unió.Sarebbe una soluzione di compromesso che potrebbe radunare intorno al patito socialista quella parte piuttosto ampia della società civile catalana che pur non appoggiando l’indipendenza reclama una maggiore autonomia da Madrid. Più difficile sarà rappresentare gli elettori di area socialista che non sono disposti a rinunciare al progetto indipendentista: bisognerà avviare un delicato processo di negoziazione dentro e fuori dal partito i cui esiti sono difficili da prevedere.