Tra i programmi del TFF si cela uno dei ritrovamenti cinematografici più importanti di questi anni, un film televisivo di mezz’ora realizzato tra 1956 e 1957 da Roberto Rossellini, Psychodrame.

Dell’esistenza del film si era a conoscenza, ma anche il libro-summa sul regista del critico americano Tag Gallagher (in edizione francese definitiva riveduta da Bernard Eisenschitz) lo dava per girato e non completato, indicando il titolo con un articolo (Le psychodrame).

Invece il fiuto archivistico di Sergio Toffetti l’ha localizzato, completo di titoli di testa e di coda (nei primi è datato 1956, nei secondi il copyright è 1957), nelle collezioni INA comprendenti la produzione dello sperimentale Centre d’Erudes della televisione francese, l’ORTF.

Non risultano però date di avvenuta trasmissione, per cui la prima proiezione pubblica andrà datata probabilmente 2018: quella effettuata qualche mese fa alla Cinémathèque française, mentre invece l’anteprima italiana sarà appunto a Torino. Città che forse se lo merita non solo perché è quella di Toffetti (presidente ora del Museo Nazionale del Cinema, dopo esser stato conservatore alla Cineteca Nazionale e ad Ivrea dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa) ma anche perché luogo di un precedente, essenziale doppio ritrovamento rosselliniano, quello dei cortometraggi giovanili La vispa Teresa e Il tacchino prepotente, fatti emergere dall’Archivio della Resistenza di Paolo Gobetti e Paola Olivetti.

A prescindere dal fatto che ogni tassello filmografico di Rossellini è di fondamentale importanza (e ancora mancano all’appello i cortometraggi Prelude à l’après-midi d’un faune e Il ruscello di Ripasottile mentre tra le versioni plurime di tanti film risulta perduto il «director’s cut» di Vanina Vanini), il film era un oggetto di particolare desiderio perché si tratta del primo dei suoi due spostamenti preliminari dal cinema alla televisione (il secondo riguarderà poco dopo L’India vista da Rossellini) con sette anni d’anticipo rispetto al «ripudio» televisivo del cinema avvenuto nel 1963 a cominciare dal grandissimo L’età del ferro, che il rosselliniano per eccellenza Adriano Aprà amò subito ma che persino la rivista più determinata nell’eleggere Rossellini a massimo faro, i «Cahiers du cinéma», accolse con freddezza.

Inoltre, Psychodrame segue immediatamente due grandi detour rosselliniani accolti da stupidi dileggi, Giovanna d’Arco al rogo (col suo contorno di regie teatrali) e le versioni trilingui di La paura.

Quest’ultimo si collega in modo molto pertinente al trattamento dello psicodramma essendo uno dei due capolavori rosselliniani, con Europa ’51, che contengono la massima presa di distanza dalla pratica psichiatrica e medica in generale.

Vedendo ora finalmente Psychodrame, che pure appare scettico (quanto dev’esserlo stata la tv francese che l’ha prodotto) sul modello psicodrammatico di Moreno, vi troviamo un momento in cui viene filmato in dettaglio un foglio su cui si disegna il modello psicodrammatico, che fa pensare alla défaillance del test con le macchie di Rorschach in Europa ’51.

La grandezza, seppur non subito evidente, del ritrovato corto sta nella sua disillusione sulla figura paterna, il che per chi si sentiva profondamente padre come Roberto è un trauma radicale: Moreno, che a un certo punto nel film si fa sostituire dalla figlia (che lo spiega imbarazzata «perché comunica male in francese») si offre in una scena come padre sostitutivo a un attore del psicodramma che si sdoppia recitando sia suo padre che se stesso come un figlio che cerca un impossibile amore.

Basterebbe questo momento a rendere Psychodrame un vertice (o, matarazzianamente, vortice) rosselliniano. Germania anno zero e Europa ’51 erano reazioni al lutto della perdita di un figlio, le realizzazioni televisive anni ’60 saranno anche l’affidamento della propria opera al figlio e coregista Renzo, qui a essere in crisi è lo stesso poter essere padre.

Il film costituisce un ideale trittico con due opere estranee a Rossellini, Un uomo a metà di Vittorio De Seta, di cui nei primi anni ’60 Rossellini rifiuterà lo sprofondarsi in se stesso di un cineasta, e nel 1968 l’inedito di Ermanno Olmi emerso l’anno scorso a Brescia, grazie all’Archivio Luigi Micheletti e a Tatti Sanguineti: Il tentato suicidio nell’adolescenza, per il suo essere rimasto ignoto sino ad oggi, e per il suo risultare anche a visioni odierne spiazzante, come certo avverrà anche per le prossime proiezioni del film di Rossellini, è certamente il più preciso doppio di Psychodrame.

In questo film Rossellini mette inoltre alla prova il proprio sottrarsi alla regia come controllo del set, che lo portò ad affidare talvolta le proprie riprese ad altri (da Carlo Lizzani in Germania anno zero a Federico Fellini in qualche altro film, o facendo firmare a Beppe Cino alcuni dei suoi tardi capolavori) sapendo che la messinscena può esercitarsi dal fuoricampo.

Il regista del psicodramma è infatti il «guru» Moreno, e per supplenza sua figlia, a un certo punto non si capisce quasi in cosa consista la regia (che è altro dal «filmare» affidato invece a Claude Lelouch e qualcun altro) di Rossellini, che tuttavia non è evidentemente una di quelle sue «supervisioni» finte, da prestanome (per il Nino Giannini o il Pasquale Prunas di certe «marchette»).

Sentiamo che lui è presente nel fuoricampo e osserva il patetico sentirsi regista (nonché padre) di Moreno. Il titolo completo suona Psychodrame – Trois essais filmées dorigées par J. L. Moreno e subito dopo la regia è comunque rivendicata da Roberto Rossellini. Ci troviamo in presenza di un grande film-mostro, senza vero regista, senza possibili padri, senza possibile vero amore, in cui il dramma lascia nella lontananza la psiche, in cui i corpi si recitano come imprecisi ruoli. Poteva una televisione, dopo averlo «sperimentato», trovare un motivo, per trasmetterlo? Il film piomba ora dall’«inesistenza» nel nostro presente, ed è improbabile che vi trovi una risposta.