Oggi Putin sarà in Italia. Incontrerà il papa, con cui parlerà di Ucraina ribadendo quanto detto anche alla stampa mainstream rispetto alle reazioni russe alle provocazioni della Nato. Altri temi in discussione saranno la Siria e i cristiani in medio oriente. Poi il presidente russo vedrà Renzi, all’Expo di Milano e Mattarella a Roma. Nella sua intervista al Corriere della Sera a inizio settimana Putin ha detto una cosa importante: provate a mettere sul vostro giornale la mappa del mondo, indicando tutte le basi Usa. Poi, se volete, parliamo di chi ha intenti imperialistici e chi invece – semplicemente – reagisce a provocazioni.

Senza volerlo, o più probabilmente prevedendo le obiezioni, Putin rispondeva alle accuse lanciate da Obama all’ultimo G7 in Germania un paio di giorni fa, circa le mire imperialistiche – «alla stessa stregua della vecchia Urss» – del presidente russo. Sembra però giunto il momento di accantonare le legittime perplessità sul metodo di gestione del potere putiniano (più asiatico, che europeo) e ragionare davvero su quanto sta accadendo nel mondo, valutando nella loro esatta consequenzialità provocazioni e reazioni.

Al papa, secondo quanto trapelato da Mosca, Putin spiegherà la posizione di Mosca nella crisi ucraina. È quello, benché la grancassa del premier italiano proverà a dire il contrario, l’incontro importante di oggi. Lo ha specificato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, citato dalla Tass.

«Se il papa mostra interesse non ho dubbi che il presidente sarà pronto a chiarire dettagliatamente la posizione della Russia». Al vaglio – pare – c’è anche una visita del papa in Russia, o almeno in questo modo potrebbe tradursi quell’espressione circa «futuri contatti» espressa dal portavoce del Cremlino, dato che la questione «riguarda non solo lo Stato» ma anche la Chiesa ortodossa russa. E proprio quest’ultima (e quella ucraina) potrebbero costituire un nuovo asse diplomatico per provare a risolvere la questione.

L’incontro tra il Papa e Putin non è il primo: il 25 novembre 2013 si erano già visti in Vaticano e al centro del loro colloquio c’era stata la discussione per trovare una soluzione pacifica alla crisi siriana. Da quella data ad oggi, la vera novità è la questione ucraina, che tira in causa anche la chiesa ortodossa di Mosca.

«Tutti e due vogliamo incontrarci, vogliamo andare avanti», aveva detto Bergoglio riferendosi al Patriarca di Mosca Kirill, a novembre 2014. Meno di un mese fa a Londra, all’International Institute for Strategic Studies (Iiss) monsignor Antonio Mennini, veterano della diplomazia vaticana (e già nunzio apostolico a Mosca) aveva sottolineato che la Santa sede «non considera l’imperialismo russo più pericoloso di quello occidentale». E sul dossier Ucraina Putin non è mai stato additato da papa Francesco come «aggressore».

Al riguardo è bene ricordare, come ha fatto ieri il giornalista canadese Gwyne Dyer su Internazionale, in che modo è cominciata la crisi ucraina. In linea con la genesi del conflitto tracciata sul manifesto e che i nostri lettori conoscono bene Dyer ricorda come «la sera del 21 febbraio 2014 i leader dei manifestanti (di Majdan, ndr) accettarono l’accordo delineato dalla Russia e dall’Unione europea, in base al quale Yanukovic si sarebbe dimesso e ci sarebbero state nuove elezioni entro un mese».

Eppure le potenze occidentali forzarono la mano alla piazza, con il risultato del regime change. Anche altri media internazionali sono ormai concordi nel riconoscere importanti responsabilità occidentali, in primo luogo Usa e Nato, su quanto accaduto in Ucraina.

E ora la prospettiva presentata da Putin sembra l’unica realmente percorribile: innanzitutto nuove elezioni municipali e il via libera ad un’amnistia. Anche perché le popolazioni e la dirigenza delle repubbliche ribelli, secondo lo stesso Putin, sarebbero pronte ad accettare di rientrare territorialmente in Ucraina, a patto di realizzare una riforma costituzionale che garantisca i diritti d’autonomia ai territori delle Repubbliche dell’est del paese non riconosciute.

L’importante, per Mosca e per la popolazione del Donbass, è non finire nelle grinfie di neonazisti o di politici pilotati dalla Nato, senza correre così il rischio di avere basi atlantiche al confine con la Russia.

Ora tocca agli occidentali forzare e provare a convincere Kiev ad accettare gli accordi di Minsk, anziché supportare l’oligarca Poroshenko addestrando i suoi soldati e minacciando lo schieramento di missili contro Mosca o aizzando l’Europa dell’est in funzione anti russa.