La ministra Marianna Madia non ha per niente rassicurato i lavoratori delle province, e allora «la mobilitazione continua». L’incontro di ieri non è andato bene, e il fine d’anno non sarà sereno per almeno un migliaio di persone: quei precari che rischiano di perdere il posto già il 31 dicembre, quando i contratti a termine non verranno rinnovati. Né si sentono tranquilli – ma per loro i tempi sono perlomeno più dilatati – i 20 mila dipendenti a tempo indeterminato (su un totale di 54 mila) che potrebbero finire disoccupati se non andasse a buon fine il ricollocamento nelle Regioni o in altri enti.

Quindi tante sedi continuano a essere presidiate e occupate: a Siena, Pisa, Milano, Carrara, Firenze, in Basilicata, sono tantissime le iniziative e i flash mob per attirare l’opinione pubblica, inevitabilmente distratta dalle festività, su questa emergenza. «Se fossi un precario delle Province non starei sereno, visto che l’impegno del governo è porre domani (oggi, ndr) la questione in consiglio dei ministri ma al momento nessuna soluzione è certa – ha spiegato la segretaria confederale della Cgil, Serena Sorrentino – Per questo motivo l’incontro sul tema dei precari è stato inconcludente: la mobilitazione prosegue».

«Continuano a mancare risposte chiare sul mantenimento del rapporto di lavoro dei precari delle province che sarà oggetto del consiglio dei ministri (cdm) che dovrà varare il decreto di fine anno», spiega la Cgil dopo l’incontro a Palazzo Vidoni con la ministra della Pubblica amministrazione. Come pure «continua a mancare chiarezza sulla certezza occupazionale dei lavoratori a tempo determinato dei Servizi pubblici dell’impiego in tutte le province, comprese quelle in disequilibrio finanziario».

La ministra, spiega Federico Bozzanca, segretario nazionale della Fp Cgil, ha dichiarato che al cdm verrà proposta la proroga dei contratti in scadenza al 31 dicembre, ma appunto ancora non c’è certezza, ed è per questo che i lavoratori per il momento hanno deciso di non abbandonare il campo (le sedi occupate e i presidi).

C’è poi il grande capitolo degli esuberi, fino a 20 mila: alcune migliaia di loro è quasi certo che verranno assorbiti dalle Regioni o da altri enti con il trasferimento delle funzioni, ma non è detto che questo riguardi tutti. Soprattutto negli anni della spending review, processo che induce a tagliare dove si può: e se è praticamente impossibile (ancora oggi) licenziare nel pubblico, è però anche vero che è molto più facile decidere di non riassorbire, una volta che un’altra attività ha cessato di esistere.

Su questo fronte, la Cgil spiega di aver «richiesto di avviare un confronto sulle problematiche aperte dalla legge di stabilità e sul percorso di attuazione della legge Delrio a livello nazionale e regionale, confrontandoci con tutti gli interlocutori istituzionali (governo, conferenza dei presidenti delle Regioni, Anci e Upi) a partire da gennaio, prima che il processo di costituzione delle aree vaste si compia e che porti a cambiare le misure della manovra. Ma pur registrando un’apertura “di metodo” da parte del governo – conclude il sindacato – non è stato indicato né un calendario, né un percorso che parta dalle emergenze aperte proprio dalla legge di stabilità che continuiamo a ritenere sbagliata».

Madia ha replicato che «non c’è nessun pasticcio tra legge di stabilità e legge Delrio», ma come detto non ha convinto: «Apprezzo la volontà della ministra, ma finora nessuna risposta», dice Rossana Dettori (Fp Cgil). E per Giuseppe Faverin (Cisl Fp) «vanno eliminate le storture che si sono create tra le due leggi, un vero caos».