Ministro Provenzano, dopi il voto regionale cosa cambia?

Non era un voto politico ma si è caricato di un grande valore politico. Salvini ha voluto fare un referendum su di sé e l’ha perso. È emerso che l’Italia non è di Salvini. «Spazzerò via il Pd», ha detto più volte in piazza. Invece il Pd è il primo partito in Emilia Romagna e in Calabria. Ha voluto riempire le piazze e le sardine, le ringraziamo anche per questo, ci dicono che nemmeno le piazze sono di Salvini. Nel voto ci sono anche altri messaggi.

Quali?

C’è la scossa democratica, il buongoverno di Bonaccini premiato, un Pd che si apre e torna centrale. C’è il protagonismo di donne e giovani come Elly Schlein. Soprattutto c’è un campo di valori. È tornata la peggiore destra, ora deve tornare la migliore sinistra. Che è plurale, oppure non è.

Il Pd rivendicherà finalmente più peso nel governo?

Questo voto deve interrogare le forze della maggioranza. Il governo nasce per arginare Salvini, l’Emilia Romagna ci dice che i cittadini votano non solo per paura ma anche per rivendicare un modello di società. Il governo oggi ha il dovere di mettere in campo un’idea di Italia. Già comincia a emergere, ma è il momento di metterla in pratica.

Il problema è che i vostri alleati 5 stelle sono nel caos.

Nei 5s c’è una riflessione in corso, che io rispetto. Ma non possiamo aspettare gli stati generali. Il rilancio dell’azione di governo deve partire adesso. E noi dobbiamo offrire un disegno chiaro, sul quale aprire un confronto.

Vuol dire che il Pd deve proporre loro un’alleanza più stringente? I 5s senza Di Maio sono più vicini all’alleanza di centro-sinistra, cioè alla vostra strategia?

Non è la nostra strategia, è l’Italia che va in questa direzione. C’è una polarizzazione nella società prima ancora che nella politica, e non è un caso che a soffrire oggi sono le forze che o negano questa distinzione, come i 5s, o che la vorrebbero superare, come Italia viva. Entrambe devono scegliere da che parte stare.

Fra poco si voterà in Puglia. Italia viva non si alleerà con voi e non sosterrà Emiliano. In Campania è difficile che i 5s sostengano il vostro De Luca. Rischiate di consegnare le regioni alla destra?

È quello che devono capire.

Non è che dopo la vittoria ricominciate ad essere un partito arroccato e arrogante?

Il merito di Zingaretti è fare l’esatto opposto, con generosità. Ma è anche un principio di realtà, la consapevolezza che così non basti. C’è una grande domanda di rappresentanza che guarda a noi, dobbiamo essere all’altezza di dare una risposta.

Sostengono Renzi e Calenda che un Pd spostato a sinistra aprirebbe praterie al centro.

Anche il tre per cento dei fili d’erba ha il diritto di immaginarsi come una prateria. Ma se si disimpegna, come è successo in Calabria, e di fatto aiuta la destra, questa prateria si tinge di tinte fosche. E poi cosa sono i moderati? Quelli che difendono le cose come stanno? Noi facciamo i conti con le conseguenze di un modello di sviluppo che determina disuguaglianze e lacerazioni che non hanno nulla di moderato. Se invece il moderatismo è un’attitudine personale, peraltro ammirevole, mi pare che quelli che si candidano a rappresentarlo ne siano del tutto privi.

Il piano per il Sud, che lei prepara per la verifica di governo, è per tirare dalla vostra le regioni del meridione?

Il fatto che in Calabria il 55 per cento dei cittadini non va a votare è il segno di un sentimento di abbandono. Sento la responsabilità di rispondere a questo grido di dolore muto. Ma c’è un elemento politico interessante. La Lega non sfonda: i meridionali non stanno credendo all’imbroglio di chi ha sempre odiato il Sud. E con la crisi dei 5 stelle si apre un grande spazio politico per il Pd, che però parte dal presupposto di metterci in discussione, aprirci al buono che c’è nella società meridionale. Già lo stiamo facendo a Napoli.

Il congresso della rifondazione del Pd slitta in avanti. L’attuale Pd, quello dei maggiorenti, può davvero mettere in pratica quest’idea di apertura?

Il tema non sono le correnti: un grande partito ha bisogno di essere nutrito di diversi affluenti culturali. Il punto è come intercetti la vitalità della società. Che oggi non vede più il Pd come un corpo ostile, ma ancora non si sente del tutto rappresentata e coinvolta. L’abbiamo visto in Emilia Romagna, per vincere bisogna contare su tutto il protagonismo sociale. Noi giustamente parliamo delle sardine, ma ci sono i giovani che a Crotone tengono aperti i centri culturali, oppure i comitati di quartiere che a Centocelle a Roma riconquistano le piazze dello spaccio. Oggi il Pd non è attrezzato per coinvolgere queste realtà. Il percorso di apertura lanciato da Zingaretti deve servire a questo. Non basta un governo più deciso nella lotta alle diseguaglianze. È nei luoghi marginali che va contesa la presenza della destra. Oggi sappiamo che è possibile.

A questa partecipazione sociale voi offrite Emiliano in Puglia e De Luca in Campania?

I pugliesi hanno deciso con le primarie. Su De Luca decideranno i campani. Ma la decisione deve essere frutto di un percorso di apertura e cambiamento. Io però mi riferisco a un percorso più profondo e coraggioso di un’elezione. Lo stesso coraggio lo dobbiamo avere sulle idee.

Appunto. Lei ha parlato di un nuovo statuto dei lavoratori e dal Pd è partita una levata di scudi.

Ne abbiamo discusso a Contigliano. La vera discontinuità con il governo precedente, ma anche con i nostri ultimi anni, va realizzata sul terreno economico e sociale. Il lavoro va creato con investimenti, ma coinvolgere i giovani precari in una discussione su un nuovo statuto dei lavoratori dà respiro anche all’azione di governo. Così come l’altra grande azione è una riforma della tassazione in senso progressivo. Abbiamo già iniziato. Ma non dobbiamo fare l’errore di tenere separati i diritti civili e quelli sociali. Bisogna chiudere la fabbrica della paura cancellando le norme criminogene che ci sono nei decreti sicurezza e anche nella Bossi-Fini. Distribuire diritti e doveri con lo ius culturae. Questo contribuisce a ridefinire un campo di valori riconoscibile.

Italia viva vota con Forza italia l’abolizione della legge sulla prescrizione.

Ed è un errore. C’è una trattativa in corso nella maggioranza. Ricordo che noi ereditiamo dal governo precedente la riforma della prescrizione e ci siamo assunti il dovere di cambiarla perché non dà equilibrio nelle garanzie. Si sta al tavolo, non si vota con la Lega che ha voluto quella riforma. Come sinistra abbiamo il dovere di affermare che il tema delle garanzie riguarda tutti, a partire dai più deboli. Ma non accettiamo lezioni di garantismo da quelli dei citofoni.

In Emilia Romagna in quattro province ha vinto la Lega.

Sono i luoghi che se si sentono tagliati fuori reagiscono coltivando identità regressive. Abbiamo sottovalutato questa dinamica, le identità vanno valorizzate. Su quei monti dell’Appennino c’è l’identità della Repubblica che nasce dalla Resistenza. Bisogna spezzare l’isolamento con servizi e mobilitando forme di cittadinanza attiva.

È questo il lavoro sulle ‘aree interne’ del suo ministero?

Ho ripreso una politica ideata da Fabrizio Barca, la sto estendendo in tutto il paese perché è una grande questione democratica e di equilibrio nello sviluppo.

Salvini è finito?

So che ogni giorni sui giornali si legge il contrario, ma il declino di Salvini non inizia oggi. Alle europee la Lega aveva il 34 per cento e da allora ha iniziato una parabola declinante. Ma se non prosciughiamo la palude del risentimento, della paura, dell’insicurezza sociale, se non sarà più Salvini ce ne sarà un altro.