L’umano è un’essenza separata o una modulata condizione della natura, come pare suggerire il titolo del libro di Francesco Codello, La condizione umana nel pensiero libertario (elèuthera, pp. 339, euro 16)? Questa domanda in particolare attraversa la filosofia libertaria e anarchica, caratterizzata dalla ricerca dell’emancipazione politica dallo Stato. Diverse sono le direzioni che l’anarchismo segue a tale scopo. Verso una socialità anti-individualista (Proudhon); o al contrario verso un individualismo che rasenta il solipsismo (Stirner); verso uno stato di natura che riabilita anche il primitivismo (Zerder); oppure verso soluzioni volontaristiche che costruiscono, più che liberare, la società senza Stato (Malatesta). Cruciale nell’anarchismo è la critica dell’arché: del principio inteso come origine essenza e legittimazione dell’autorità costituita.

Codello segue uno svolgimento cronologico e indica, quali snodi importanti dell’anarchismo classico fra gli altri Proudhon, Bakunin, Reclus, Malatesta, Goldman, Landauer, Kropotkin al quale è dedicato anche un capitolo specifico. L’ultima parte del libro è invece dedicata all’anarchismo e post-anarchismo odierni. La fase contemporanea sembra caratterizzata da un lato dal rilancio di alcuni fra i tratti più estremi dell’anarchismo classico. Ad esempio il naturalismo anticulturalista, (Zerzan, Clastres), l’infantilismo (Montagu), l’innatismo del linguaggio negli esseri umani (Chomsky), il vitalismo (Jun). Dall’altro lato, l’anarchismo di oggi è interessato a un ripensamento critico dei suoi stessi presupposti. Ciò avviene esemplarmente in Newman che sottopone la tradizione filosofica libertaria a una disamina genealogica e al confronto con le scienze biologiche e le filosofie post-moderne.

Uno degli elementi importanti del libro è quello di far emergere come nell’anarchismo la questione della condizione umana sia fonte costante di aporie, in bilico fra concezioni separative o forme integrate di natura e cultura, pessimismo antropologico individualista e utopismo umanitario collettivo. Ciò avviene ad esempio nel già menzionato primitivismo di Clastres, per il quale «l’evento irrazionale» che segna il decadimento della società a Stato finisce per somigliare al pessimismo antropologico reazionario di un vecchio De Maistre. Simili forme contraddittorie si vedono anche in Montagu che cade nella sua stessa critica a ogni forma religiosa o laica di «peccato originale» quando situa in una sorta di perversione imperscrutabile la decadenza della società primitiva nella cultura, l’infanzia dell’individuo nell’età adulta.

Molti altri sono i pensatori anarchici e libertari che rimangono intrappolati in quello che potremmo definire come mimetismo reversibile che volge la negazione dell’arché e dell’essenzialismo nella sua dissimulata riaffermazione. In questi casi, il pensiero anarchico, più che coerenti teoresi sulla condizione umana, sembra offrire più o meno consapevolmente delle poetiche, cioè delle pratiche che realizzano una possibilità politica non necessariamente già iscritta nell’ordine naturale.

Le questioni teoretiche e scientifiche toccate dai pensatori discussi da Codello sembrano centrarsi in particolare sui grandi temi dell’immanenza e della separazione – l’una negazione dell’altra. L’immanenza come il contrario del soggetto individuale o collettivo separato, dell’essenzialismo, del finalismo metafisico, naturale, storico. La separazione come quell’operazione ontologica senza la quale l’essenza, la gerarchia e il potere non si identificherebbero.

Forse nella ricostruzione di Codello, oltre al grande senso didattico nel ripercorrere le principali tappe dei pensatori anarchici e libertari, sarebbe stato utile indagare di più, rispetto a quanto l’autore fa nelle pagine conclusive, proprio sulla ricorrente aporia fra separazione e immanenza (e non soltanto nel pensiero anarchico). Cioè affiancare all’excursus storico più decisi affondi teorici dei quali anche lo stato attuale del dibattito scientifico e filosofico sulla condizione umana si gioverebbe. Un dibattito stretto fra gli estremi di una biologia neurogenetica sempre più orientata alla riproduzione tecnologica della vita nella quale l’autonomia (concetto caro all’anarchismo) rischia di diventare un automa e di una pratica politica che mai come ora mette in crisi la forma Stato, incorrendo nella tentazione di «terze vie» che rischiano a volte di avallare strutture parastatali più autoritarie ancorché sfuggenti degli stati moderni, oppure di recuperare – ormai neanche più sotto mentite spoglie – i vecchi nazionalismi identitari.