Una serie di lettere d’amore anonime irrompe nelle esistenze degli abitanti di Piazza Guy d’Arezzo a Bruxelles. Sarà questa la benzina che incendierà le loro vite, scatenando passioni, risvegliando un desiderio che si pensava sopito da tempo, suscitando una febbre erotica difficile da saziare.

La giostra del piacere – questo il titolo del suo ultimo romanzo appena pubblicato da e/o (pp. 660, euro 19,50) – che Eric-Emmanuel Schmitt mette in scena in una placida zona residenziale della capitale belga, è un meccanismo a orologeria capace, come certi carillon che alla fine della musica svelano segreti celati al loro interno, di rivelare e mettere in movimento, ingranaggio dopo ingranaggio, un intero mondo.

Quello che Schmitt, tra i protagonisti della letteratura francese degli ultimi anni, autore curioso e prolifico – 17 le opere pubblicate solo nel nostro paese da e/o -, a suo agio con i ritmi musicali e i colpi di scena della commedia (lavora da anni anche per il teatro), ci rivela è il mondo della passione, delle mille forme che può assumere il desiderio, declinate una ad una attraverso una sorta di geopolitica del sesso. Una giostra che travolge ogni cosa, cambia definitivamente vite e destini finendo però per mostrarci, sorprendentemente, non tanto i gusti sessuali dei protagonisti, quanto piuttosto la loro anima. Senza falsi moralismi e inutili pudori, lo scrittore transalpino sembra così voler mettere a disposizione di tutti un validissimo antidoto all’unico vero pericolo che corre il sesso in tempi di bunga bunga e reality: quello della banalità.

Eric-Emmanuel Schmitt è tra gli ospiti della Fiera internazionale Più libri Più liberi, che si tiene a Roma fino a domenica. Presenterà il suo romanzo oggi, alle ore 17.

Settecento pagine che descrivono quasi un catalogo dell’erotismo: il suo nuovo romanzo sembra muovere da una sorta di «desiderio enciclopedico», perché questa scelta?

Mi piace la definizione di «desiderio enciclopedico», la sento molto mia, visto che considero Diderot come il mio più grande maestro e lui all’Enciclopedia alternava i romanzi. In effetti, volevo raccontare in forma romanzesca tutti i modi possibili di desiderare, toccare, amare ed essere amati. Perché? Perché credo che sia l’unica maniera che abbiamo per aiutare la diffusione della tolleranza. Mi spiego: in genere, le persone rifiutano, e spesso temono, ciò che non conoscono. Così non capiscono come si possa desiderare in un modo diverso dal loro. Ma quando si legge un romanzo non si finisce per identificarsi un po’ con tutti i personaggi? Quindi, descrivendo ogni forma di desiderio, ho spinto i lettori a ritrovarsi letteralmente nei panni degli altri, a guardare all’amore con altri occhi, altre mani, altri corpi. Io stesso, nello sfidarmi a scrivere di una sessualità che non era la mia, ho voluto guardare le cose con occhi nuovi. È così che la letteratura raggiunge ciò che credo sia il suo vero obiettivo: abolire la distanza tra gli individui, creare una sorta di fraternità universale. Per me, La giostra del piacere è questo: un romanzo umanista sulla sessualità.

Al di là dei complessi giochi di seduzione e erotismo, questo sembra però essere soprattutto un romanzo sull’amore. È il «vero amore» ciò che stanno inseguendo i personaggi. Non le sembra una contraddizione?

Direi di no. Il tema di fondo del libro non è tanto come si può fare all’amore, ma quale sia l’articolazione tra amore e sessualità. Si tratta di cose che procedono sempre insieme o che, al contrario, si possono escludere reciprocamente? Cerco di raccontare come la sessualità possa rappresentare il cammino che ci conduce all’amore, ma possa descrivere anche un percorso a se stante. Il sesso è anche una sorta di scambio, di contratto, basato su una sorta di equilibrio degli egoismi. Il piacere però può essere anche totalmente egocentrico, diventare quasi il contrario dell’amore. E c’è anche chi per amare qualcuno, come accade nel libro, non ha bisogno di alcun contatto fisico. I miei personaggi fanno l’esperienza di tutto ciò, e finiscono per chiedersi cosa davvero stiano cercando. E la risposta è inesorabilmente l’amore.

Il romanzo racconta il dominio esercitato dal sesso sulle nostre vite, ma rifiuta categoricamente l’uso del potere sul sesso. Il personaggio più detestabile è Zachary Biderman, un commissario della Ue che costringe una cameriera ad un rapporto sessuale e che è stato paragonato a Dominique Strauss-Kahn, anche se sembra assomigliare molto ad un politico italiano, oggi in fase decadente. Come stanno le cose?

Sono contento che lei non citi solo Dsk, come fanno invece in Francia, visto che io mi sono ispirato a molti altri animali politici, compresi proprio quelli del vostro paese. Sono anni che osservo i politici e prendo nota mentalmente dei loro comportamenti; mi sono fatto l’idea che molto spesso abbiamo a che fare con persone che si credono dei superuomini, mentre nella vita privata fanno veramente schifo. Zachary, ad esempio, è un politico noto per le sue prese di posizione in favore della giustizia sociale, ma in realtà è un egoista, un porco, ossessionato dall’idea di poter molestare ogni donna che gli capiti a tiro. Sia chiaro che non sto esprimendo un giudizio morale, ci mancherebbe altro, credo che nell’espressione della sessualità non ci debba essere nulla di «vietato» e tutto vada vissuto liberamente. Tutto, tranne lo stupro. Tutto, tranne la violenza inflitta in modo fisico o perpetrata attraverso l’imposizione psicologica. Questa io non la considero una forma di sessualità, piuttosto la vedo come un’articolazione del potere. Un esercizio di potere compiuto da qualcuno che pensa di poter fare degli altri ciò che più desidera. Ed è questa l’unica vera forma di oscenità che rilevo nel sesso, l’unico crimine. Diderot diceva «tutto è permesso tranne ciò che mette la propria salute o quella degli altri in pericolo». E io sono d’accordo con lui.

Torna in questo libro uno dei temi ricorrenti in tutte le sue opere, fin dai tempi di «Monsieur Ibrahim», il libro che per primo le ha dato notorietà internazionale, quello dell’identità. In questo caso, è attraverso il sesso che ci si trasforma e s’incontra l’«altro». Nella realtà è davvero così?

Ad alcuni personaggi del romanzo accade, c’è addirittura chi cambia identità sessuale nel corso della storia. Perciò sì, credo sia possibile. Comunque è vero, questo tema rappresenta una sorta di ossessione che caratterizza tutti i miei libri: parlo della convinzione che la nozione stessa di identità sia estremamente fragile. Gli uomini hanno bisogno di credere di avere un’identità solida, che la loro fede religiosa rappresenti la «verità», invece che un credo tra i tanti, che la loro «razza», nazionalità, origini – ma anche la sessualità -, siano uniche e magari superiori, o in ogni caso migliori, rispetto a quelle degli altri. Io, invece, mi diverto un mondo a dimostrare che tutte queste identità incrollabili sono in realtà deboli e spesso del tutto passeggere.

Così, mi sembrava importante sottolineare come perfino l’identità sessuale, che spesso viene presentata come «naturale» e imperitura, sia in realtà qualcosa di tutt’altro che definito una volta per sempre. C’è un principio buddista che sintetizza bene quest’idea e parla della non-permanenza di tutte le cose, del fatto che tutto cambia e si trasforma, all’esterno come all’interno di noi stessi. E io aggiungo: per fortuna.