L’attesa mediatica per il primo evento da «prove generali di sindacato unico» rimane delusa. In una Matera piena di bandiere europee, la due giorni di convegnone unitario Cgil, Cisl e Uil su «Cultura, Europa e lavoro» lascia l’argomento sullo sfondo. Nella città capitale europea della cultura i sindacati confederali fanno il punto in vista della lunga mobilitazione che fra scioperi e mobilitazioni nazionali coinvolgerà moltissime categorie fino al 22 giugno quando si terrà la manifestazione per chiedere di rilanciare il sul a Reggio Calabria.

MA SE DAL PALCO nel lungo intervento completamente letto – una rarità per l’ex leader Fiom – Maurizio Landini dedica all’argomento poche righe su cinquanta cartelle, nei corridoi e nei capannelli fra dirigenti si parla solo di questo. La sfida è grande e sentita. E l’impressione è che questa volta qualcosa succederà. C’è anche chi, come Eliana Como della minoranza Fiom e Cgil si dice subito contraria, ma la stragrande maggioranza è «per tentare e presto perché l’unità sindacale – e non il sindacato unico – è una necessità, ce la chiedono i lavoratori», come sostiene Landini. Sull’esito invece i pessimisti sembrano superare gli ottimisti, sebbene si prestino subito alla critica di chi dice che proprio i dirigenti non vogliono l’unità perché dovrebbero cedere il loro attuale potere all’interno delle tre attuali confederazioni.

TOCCA A LANDINI aprire la due giorni che oggi vedrà Romano Prodi tenere una lectio magistralis sull’Europa. E il segretario della Cgil si applica nel compito di tenere un discorso di alto profilo che tiene dentro tutti i temi.

A partire proprio da Europa e cultura. «C’è bisogno di una svolta che affermi la necessità di costruire un modello sociale ed economico fondato sulla giustizia sociale, la democrazia, il lavoro, l’inclusione, la solidarietà. È l’unico modo per impedire che crescano divisioni, xenofobia, rifiuto del diverso perché su di loro si scaricano le paure, le insicurezze, l’incertezza del futuro. C’era un altro tre per cento che nessuno si ricorda – sottolinea Landini – non quello di Maastricht sul rapporto deficit-Pil, ma quello che doveva raggiungere la spesa in ricerca e conoscenza: ebbene il trattato di Lisbona lo prevedeva nel 2010 e oggi la percentuale media europea è scesa all’1,9% con l’Italia molto sotto mentre l’Asia ci ha superato». Poi arriva l’attacco a Salvini e a Orban. «Tutto ciò non si può fare con le piccole patrie che riscoprono identità chiuse ma con un’Europa sociale, capace di cambiare e rinnovarsi. Non servono muri ma reti».

SULL’EUROPA ARRIVA da una parte la rivendicazione di una novità assoluta e dall’altra una autocritica. «La scelta inedita di realizzare un appello unitario con Confindustria nasce da questa consapevolezza e non a caso indica quattro priorità: unire persone e luoghi, potenziare la rete di solidarietà sociale europea, sviluppare il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, necessaria per ribadire la dignità del lavoro». Dall’altro lato, «il sindacato europeo non è stato in grado di farsi sentire con una voce univoca, ognuno di noi ha pensato che da solo avrebbe potuto ottenere più vantaggi legittimando invece il dumping salariale e la lotta fra poveri». Per cambiare la linea si punta «a smetterla di puntare solo sulle esportazioni ma creare domanda interna usando anche la cultura come motore per un grande piano di investimenti che possa creare lavoro soprattutto per i giovani».

L’ATTACCO FINALE è per il governo: «Parla di crescita ed occupazione ma non si cura affatto di prepararla. E contemporaneamente continua a ridursi la presenza nel nostro paese dei grandi gruppi industriali», con un esplicito riferimento ad Fca usando le parole di Romano Prodi. È nella chiusura – a braccio – che Landini rilancia il sasso: «Viva l’unità sindacale, avanti tutti insieme». La proposta di «unità dal basso» è condivisa dalla Cisl, meno dalla Uil. La linea di Annamaria Furlan è questa: «Dobbiamo procedere come per le piattaforme unitarie che hanno rilanciato l’unità sindacale, come quella sulle pensioni. Dobbiamo partire dal basso, il metodo è quello della condivisione dei temi e delle proposte, l’unità si costruisce nel merito e nei contenuti, non dai gruppi dirigenti. Fare l’unità dal basso è l’unico modo per farla, partendo dalle sperimentazioni che già ci sono sul territorio, ad esempio sulla contrattazione sociale e sulla sanità». Carmelo Barbagallo invece chiede a gran voce di partire da una «commissione nazionale». «Continuare ad annunciare l’unità senza iniziare a lavorarci non ha senso. Noi vogliamo accelerare e decidere rapidamente cominciando dalle regole. Nonostante io sia il sindacato più piccolo, dico che bisogna fare una commissione rispettando la rappresentatività, ma senza maggioranza assoluta e diritto di veto. Se cominciamo solo dal basso in ogni categoria e territorio è più complicato e non saremo mai d’accordo. Serve una commissione nazionale per dare un indirizzo generale».

QUANDO gli si chiede di fare una previsione sui tempi, la risposta lascia presagire il poco ottimismo: «Vorrei vederla realizzata io».