«Poco per volta la società può essere cambiata, dobbiamo resistere all’attuale trend», Tsutsui Yuriko la portavoce della Ichibanboshi, una delle associazioni che costituiscono il variegato movimento per la pace in Giappone, sintetizza così l’attuale direzione delle forze del movimento. «Ogni piccola cosa si lega all’altra», continua Tsutsui: il nuovo ruolo delle Forze di Autodifesa; l’aumento delle spese militari e i finanziamenti alla ricerca bellica alle università; il revisionismo nell’istruzione e nei mass media. «Senza cambiare la costituzione cercano di cambiare prima la società e la mente delle persone, poi cambieranno anche la costituzione» conclude.

LE FORZE DI AUTODIFESA Al centro delle recenti critiche del movimento per la pace c’è il nuovo ruolo delle Forze di Autodifesa, l’esercito giapponese. A partire dallo scorso novembre queste sono impegnate nelle operazioni militari in Sud Sudan con un mandato non più limitato al mero supporto logistico, come già era accaduto in passato, ma con l’utilizzo delle truppe giapponesi in missioni di combattimento.

Per il movimento questo è gravissimo e rappresenta l’inizio della fine della politica di pace del dopoguerra giapponese. «Temiamo che qualcuno possa uccidere o venir ucciso in combattimento», spiega Tsutsui, e questa sarebbe la prima volta per l’esercito giapponese nei settant’anni trascorsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo è il timore espresso da tutti gli attivisti per la pace che si trovano a manifestazioni o incontri.

Il dispiegamento è stato autorizzato sulla base di una controversa legge che è ora oggetto di una serie di cause di costituzionalità promosse da avvocati vicini al movimento e iniziate lo scorso marzo.

La legge prevede non più solo la difesa solo del suolo nipponico, ma anche la più controversa autodifesa collettiva a fianco di qualsiasi alleato e ovunque ve ne sia bisogno. Non proprio carta bianca, ma sicuramente un mandato molto aperto. Per questo il governo giapponese ha firmato negli ultimi mesi un nuovo accordo di assistenza militare con gli Stati uniti e ha iniziato discussioni in tema con Francia e Gran Bretagna.

Il governo ha, inoltre, intensificato sempre negli ultimi mesi la cooperazione marittima con i paesi del sud est asiatico, soprattutto attorno al Mar Cinese Meridionale, tramite una serie di incontri bilaterali e il rifornimento in particolare di mezzi navali.

La protesta si è articolata in una serie di manifestazioni su scala nazionale a cui hanno partecipato diverse migliaia di persone nei mesi scorsi.

Al centro delle dimostrazioni sono stati tre temi interconnessi: il dispiegamento delle truppe in Sud Sudan; la difesa della clausola di pace nella costituzione; e il problema delle basi americane a Okinawa, in particolare quella di recente costruzione di Henoko.

Nella prefettura di Okinawa le proteste del movimento locale e l’opposizione ai progetti del governo sono molto forti e il movimento nazionale è solidale con quello dell’arcipelago subtropicale.

Sul fronte politico gli attivisti lamentano, però, che il supporto al movimento da parte dei partiti di opposizione proviene troppo spesso solo da singoli deputati a titolo personale e manca di una forte e chiara linea unitaria.

SPESE MILITARI UNIVERSITÀ Gli attivisti, inoltre, denunciano la costituzionalità del considerevole aumento delle spese militari, che cresceranno per il quinto anno consecutivo.
Nel vigore dell’attuale costituzione, il Giappone non potrebbe nemmeno fabbricare o vendere armi, almeno secondo l’interpretazione che ne danno gli attivisti del movimento.

L’elevazione, durante la prima amministrazione Abe nel 2007, dell’Agenzia per la Difesa a Ministero della Difesa va letto, secondo i critici, come premessa del significativo aumento delle spese militari, nonché del nuovo peso che assume la difesa nell’ambito del governo.

Una parte di questi fondi è a disposizione delle università per finanziare progetti di ricerca con possibili applicazioni militari. La questione è altamente controversa e molte università adottano una fiera politica di pace che proibisce l’uso di questi fondi. Così, mentre alcune università hanno accettato i finanziamenti, altre università, fra le quali l’Università del Kansai secondo quando riporta il quotidiano Asahi, hanno chiesto ai professori di astenersi dal fare domanda al ministero per fondi per la ricerca che possano essere usati per favorire la guerra o la violenza.

IL REVISIONISMO Molti attivisti lamentano il ruolo svolto dai mass media nel favorire un clima favorevole al revisionismo.
Come esempio, Tsutsui cita quei programmi televisivi che invitano stranieri in Giappone per celebrarne usi e costumi in modo eccessivo.

Per lei ciò può essere pericoloso se porta ad un sentimento di superiorità o di rifiuto delle altre culture. Con la sua associazione lavorano invece sui giovani offrendo seminari e conferenze, oltre alle tradizionali manifestazioni e al volantinaggio. Un altro esempio, portato da altri attivisti, è la crescita della letteratura di estrema destra, che vende bene nel clima di stagnazione economica, alimentata dal movimento degli «hate speech» (i discorsi in pubblico che incitano all’odio verso gli stranieri) e dai net-uyoku, la destra estrema in rete, la cui voce diventa sempre più forte.

Nei vari spostamenti ad Osaka e dintorni abbiamo notato, per la prima volta in diversi anni, diverse bandiere del Sol Levante sventolare in giardini e campi. Nei santuari Shinto e nelle scuole è normale trovare bandiere giapponesi, ma non lo è nelle case, spiega Tsutsui.

Molte persone in Giappone trovano problematica l’esposizione della bandiera perché troppo legata all’imperialismo giapponese anteguerra e alla guerra stessa, così «la bandiera e l’inno hanno un significato diverso rispetto ad altre nazioni» conclude Tsutsui.

In Giappone, in assenza di un movimento nazionale di liberazione antifascista, la bandiera è rimasta agli occhi di molti solo come un simulacro delle più tetre ambizioni anteguerra.
«Amare il proprio paese non è un male, ma un intento esclusivo nei confronti delle altre culture e persone sì. Chi lo fa è di estrema destra e propugna una visione esclusiva del Giappone come superiore alle altre nazioni asiatiche», spiega la rappresentante della Ichinbanboshi, che si impegna personalmente nell’associazionismo per «l’armonia» con le culture straniere.

Nel loro progetto di riforma costituzionale il primo ministro e i nostalgici vorrebbero, inoltre, restaurare il ruolo centrale che l’imperatore aveva prima della guerra, a differenza dell’attuale mero «simbolo dello stato».

Così, diversi analisti sulla stampa locale hanno visto nella recente e storica richiesta di abdicare dell’imperatore un chiaro segnale contrario alle strumentalizzazioni revisioniste dell’amministrazione in carica. Tra gli attivisti non c’è unità di vedute sulla successione imperiale. Di certo, però, l’attuale imperatore, figlio di Hirohito, pur negli stretti limiti istituzionali che il suo ruolo gli impone, ha sempre parlato in modo chiaro e univoco in favore della pace.

CHE FUTURO CI SI ASPETTA Il rovescio maggiore il movimento lo ha subito alle elezioni di luglio quando la coalizione di destra al governo ha raggiunto la maggioranza dei due terzi dei seggi in entrambe le camere necessaria per iniziare le riforme costituzionali tanto agognate dal primo ministro Shinzo Abe.

La modifica più importante riguarda l’articolo 9 della costituzione che proibisce la guerra e il mantenimento di un esercito con capacità offensive. Il primo ministro ha promesso di rilanciare la riforma in una delle sessioni della dieta di quest’anno. Il movimento dovrà sfoderare le sue carte migliori.