La notizia che sta rimbalzando su alcuni media internazionale e in particolare su asmarino.com, per quanto drammatica, lascia presagire una possibile svolta in una delle dittature più spietate del mondo, quella Eritrea. La dinamica di quanto accaduto racconta ancora una volta di civili morti e repressione. Ma anche di contestazioni e manifestazioni per la libertà, oggi costantemente negata e violata dal governo di Afewerki.

Nella giornata del 5 marzo scorso, infatti, la polizia eritrea e le truppe dell’esercito avrebbero sparato e ucciso un civile nella città di Adi Keyh, colpevole solo di aver tentato di resistere all’ennesimo abbattimento di case e villaggi locali. Il Governo eritreo avrebbe deciso arbitrariamente gli abbattimenti, mandando letteralmente in mezzo alla strada decine di famiglie. Non è la prima volta che Afewerki decide di demolire interi quartieri. A Tselot e a Daero Paulos, vicino Asmara, vennero demolite nel mese di febbraio numerose abitazioni lasciando circa 700 famiglie senza un tetto. Questa volta però la popolazione ha reagito. Molti cittadini sono scesi in strada manifestando la propria indignazione di fronte ai soldati, tirando loro pietre in segno di protesta. Una pratica che ricorda da vicino la resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana. Anche gli studenti sono intervenuti. Molti di loro hanno preso d’assalto i militari, armati solo del proprio coraggio e di qualche bastone, con lo scopo di fermare la distruzione delle case.

La reazione dei militari è stata immediatamente violenta. Almeno tredici persone avrebbero riportato, in seguito agli scontri, gravi lesioni fisiche e sarebbero stati trasportati negli ospedali di Asmara. Una donna sarebbe invece stata uccisa dopo essere stata investita da un veicolo militare.

Ovviamente il condizionale è d’obbligo considerando che il regime controlla l’informazione, cerca di annichilire le voci più libere e critiche, non consente a nessuna organizzazione estera, sia essa una Ong o altro, di entrare nel paese, anche solo per prestare aiuto alla popolazione.

Intanto il fronte di resistenza Eysc (Eritrean Youth Solidarity for Change) sta diramando volantini e dichiarazioni in cui invita tutti i compagni eritrei a unirsi per manifestare la propria solidarietà e sostegno al popolo di Adi Keyh. Un’azione coraggiosa e quanto mai da sostenere. «La dittatura Eritrea dimostra ancora una volta la sua inaudita violenza – spiega Simone Andreotti, Presidente di In Migrazione Onlus – un governo che deve essere definitivamente condannato dalla comunità internazionale e dal governo italiano che deve anche riconsiderare l’apertura di corridoi umanitari sicuri per chi da quel regime è costretto a scappare per richiedere asilo in Europa».

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Sono migliaia infatti gli eritrei che, costretti a fuggire dal loro paese per colpa della dittatura e della povertà, cadendo vittima di trafficanti che li sottopongono a torture e violenze di ogni tipo. Molti di loro trovano la morte nel deserto, in qualche carcere africano, soprattutto in Libia, o nel Mediterraneo. Arrivando in Italia, spesso reclusi nei Cie o nei Cara, conoscono il volto truce di un paese inospitale e a tratti violento. Il governo italiano, insieme alla riformulazione del proprio sistema di accoglienza e tutela dei richiedenti asilo, dovrebbe far sentire forte la sua voce, sia a livello europeo che in sede Onu, per sostenere una svolta realmente democratica in Eritrea e impedire il ripetersi di persecuzioni, violenze, omicidi. Le contestazioni di questi giorni preoccupano il dittatore Afewerki e il suo regime.

L’ex rivoluzionario, ora uomo violento al potere, responsabile politico di centinaia di omicidi, dovrebbe essere isolato a livello internazionale e non accolto, come accade in Italia durante le sue visite istituzioni e non, con tutti gli onori. La resistenza eritrea, gli studenti, la ribellione di molte donne e uomini coraggiosi, raccontano di un paese che vuole democrazia e libertà. All’Italia e all’Europa spetta decidere da che parte stare.