Appena un paio d’anni fa sarebbe stata una bomba atomica. Oggi il voto segreto con cui l’aula del Senato ha respinto la richiesta di poter usare tre intercettazioni telefoniche di Silvio Berlusconi nel processo Olgettine è solo un petardo, ma fragoroso. Pd e M5S si accusano vicendevolmente di aver «salvato» l’ex Cavaliere, e con toni tanto accesi da costringere il presidente Grasso a sospendere la seduta. Le intercettazioni restano nel fascicolo: potranno essere usate a carico delle olgettine ma non del coimputato eccellente.

La richiesta della giunta per le autorizzazioni è stata respinta con 120 voti a favore, 130 contrari e 8 astensioni, che a palazzo Madama equivalgono a voto contrario. In aula, subito dopo il voto, è stato l’M5S ad aprire il fuoco, ma appena usciti praticamente tutti i senatori del Pd si sono affrettati a indicare i 5S come responsabili dell’agguato. Un coro mai così nutrito, tanto da far pensare all’ordine di scuderia. Il capogruppo Zanda mantiene un certo aplomb: «Del voto del Pd sono certo,di quello degli altri gruppi un po’ meno». Ufficiali e truppa invece si scatenano: «Imboscata» «Manovra sporca» «Patto Pd-M5S per il no all’Italia». Quando poi Fi e Gal, nella votazione successiva, si schierano a favore del rinvio del voto sull’insindacabilità del pentastellato Giarrusso, comunque respinta, è un’esplosione: ecco la prova provata del losco patto, la pistola fumante. È «un baratto». Un «vero e proprio scambio con la destra». I 5S rispondono, col capogruppo attualmente in carica Lucidi, e accusano il Pd di provare «a puntellare la sua sempre più scricchiolante maggioranza» ingraziandosi il super imputato.

Poco dopo scende in campo direttamente Beppe Grillo, dal blog: «È un inciucio che non finisce mai. Il Pd ha usato il voto segreto per mantenere l’accordo con l’ex Cavaliere». Sinistra italiana, che in questo caso è al di sopra di ogni sospetto, la vede come i 5S. «Prima il cedimento a Fi sulla tortura, ora questo voto: sembra chiaro un tentativo di riavvicinamento agli azzurri da parte del Pd», afferma la capogruppo De Petris. In realtà la «prova» del voto su Giarrusso è ben poco significativa. I gruppi parlamentari di Fi e del Gal, che del partito azzurro è una filiazione, votano sempre e per principio contro le autorizzazioni o comunque a favore dell’opzione più garantista. Più indicativo è il fatto che nelle file dell’M5S mancassero parecchi senatori, il che però denuncia al più l’aver dato scarsa importanza a questo voto. In compenso, a chiedere il voto segreto sono stati anche 4 senatori del Pd, tra cui una renziana di prima fila come Francesca Puglisi, che poi ha mosso ai 5S una delle accuse più bizzarre: quella di aver «salvato» Berlusconi in seguito al praticantato di Virginia Raggi nello studio Previti. Vertiginoso.

Anche un senatore dell’M5S, Airola, ha chiesto il voto segreto, ma per errore e chiedendo di cancellare il suo nome dalla lista dei richiedenti. Identica giustificazione hanno offerto, più tardi, i senatori democratici: «Abbiamo votato per il voto segreto nella concitazione del momento, ma non siamo stati determinanti». Il sospetto che un governo ormai balneare e consapevole di non poter più contare con certezza sul puntello centrista stia cercando di riprendere i rapporti con Arcore tuttavia è inevitabile. Non solo per il voto di ieri. Ancor di più per la svendita del ddl sulla tortura del giorno precedente, ma anche per l’ultima esternazione di Giorgio Napolitano.

Il presidente a vita, voce che resta tra le più influenti al Nazareno, ha detto senza mezzi termini che «Maggioranza e opposizione devono ragionare su un percorso condiviso per definire urgentemente un nuovo Patto per l’Italia». È un invito esplicito a rinverdire il Nazareno, perché è noto che quando parla di «opposizione» l’Emerito allude a Berlusconi, non all’odiato M5S. Napolitano spezza anche la sua lancia a favore di una modifica dell’Italicum: «Bisogna essere sinceri e dire che rispetto a quando è stato concepito sono cambiati i tempi: non bisogna puntare a tutti i costi sul ballottaggio».
Entrambe le proposte di Giorgio Napolitano rispondono alla stessa logica: evitare una vittoria dell’M5S, che col ballottaggio e senza la resurrezione del Nazareno appare oggi molto probabile. Ma da quell’orecchio Renzi non ci sente. Gli ufficiali renziani in Parlamento, a partire da Marcucci, gelano gli entusiasmi: «Si può discutere ma ci sono dei punti fermi». E il ballottaggio è uno di quelli.