Lo scontro in atto tra Stati uniti e Cina sulla diffusione dei dati sul virus sembra passare indirettamente per l’Etiopia. Tedros Adhanom Ghebreyesus, capo dell’Organizzazione mondiale della sanità ed ex politico del Tigray People Liberation Front, partito della coalizione alla guida dell’Etiopia, dall’8 aprile era già sotto minaccia dei tweet del presidente Usa, che lo accusavano di essere troppo dalla parte dei cinesi. La minaccia di tagliare i fondi all’Organizzazione mondiale della sanità è divenuta realtà ieri e già si stanno considerando le possibili ripercussioni economiche sui progetti avviati dall’organizzazione in tutto il mondo. La pandemia tende ancora il filo di alcuni dei conflitti in atto.

Nel frattempo resta attivo l’altro focolaio di tensione tra Etiopia e Stati uniti, sul contenzioso con l’Egitto sui criteri di riempimento della diga Grand Ethiopian Renaissance sul Nilo. Viceversa i timori per l’arrivo dell’epidemia di Covid-19 hanno avuto un imprevisto effetto collante sulle relazioni internazionali dell’Etiopia: il primo ministro Abyi Ahmed ha ringraziato gli Emirati arabi per aver donato 15 tonnellate di materiale medico, ritrattato le tariffe portuali con Gibuti e proposto di rafforzare i legami con il Sudan.

Quanto alla situazione sanitaria, nel Paese si registrano finora 3 morti da Covid-19 e 82 contagiati ufficiali. Ancora l’epidemia non ha coinvolto la maggior parte della popolazione, ma sono già in corso di attivazione le misure di sicurezza con le quali il primo ministro, premio Nobel per la pace, Abiy Ahmed, si prepara ad affrontare la sfida che sta mettendo in ginocchio le maggiori potenze economiche mondiali.

«Nel paese c’è preoccupazione perché il nostro sistema sanitario non è affidabile, non sappiamo come potrebbe sostenere il dilagare di un’epidemia» spiega da Addis Abeba Kiram Tadesse, consulente della comunicazione. Il quale conferma che il 10 aprile è iniziato lo «stato di emergenza nazionale», misura che dovrebbe durare 5 mesi, e che si sta prendendo in considerazione l’ipotesi di spostare le elezioni, previste inizialmente per il 29 agosto. «Lo stato di emergenza non è applicato rigidamente – aggiunge -, non c’è lockdown ma un ordine generico di stare a casa. Pochi indossano le mascherine, ma c’è molta informazione sui social, nei giornali e tramite passaparola».

Nei giorni scorsi Abiy Ahmed ha pubblicato decine di post sulla sua pagina ufficiale, indicanti le misure da assumere contro la diffusione dell’epidemia. Il primo ministro, utilizzando foto, video e grafici, mostra come lavarsi le mani e come applicare il distanziamento sociale. Ahmed tra il 12 e il 13 aprile ha invitato alcune aziende dell’area industriale di Hawassa a convertire la propria produzione in mascherine sanitarie. E ha anche attivato una gara di solidarietà che invita a condividere un pasto al giorno con chi non se lo può permettere.

Anche ai cittadini etiopi e a quelli della diaspora è stato chiesto un contributo. Aster Carpanelli, presidente della comunità dell’Unione etiopica di Roma racconta: «Abbiamo ricevuto l’appello per una raccolta fondi per sostenere il paese nel momento in cui esploderà l’epidemia. Ora stiamo facendo la raccolta per la Protezione civile italiana, il prossimo passo sarà avviare quella per i nostri fratelli in Etiopia».