Semaforo rosso. Come era prevedibile, dopo aver ruggito in pubblico Matteo Renzi non ha potuto evitare di bloccare l’iter del Def nelle commissioni di merito del Senato, Finanze e Bilancio, rinviando a martedì prossimo l’incardinamento previsto per oggi. Prima però il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan dovrà fornire i chiarimenti richiesti dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che al momento boccia la manovra e lo stesso Upb dovrà tornare a esprimersi. Poi, probabilmente martedì stesso, Padoan tornerà di fronte alla commissione Bilancio per «aggiornare» i contenuti della sua audizione di due giorni fa. Le altre commissioni hanno invece approvato ieri la Nota aggiuntiva al Def, accompagnando però il voto con un invito alla «prudenza», data l’incertezza sul rinnovo del Quantitative Easing.

Federico Fornaro, il senatore della minoranza Pd che aveva esplicitamente chiesto lo stop del Def, si dichiara soddisfatto: «Si potrà così raggiungere l’indispensabile condivisione delle previsioni del Def da parte dell’Upb». E’ una formula sottilmente velenosa. Da Bruxelles infatti, sia pur informalmente, filtra l’assonanza tra le istituzioni europee e le critiche dell’Ufficio, condivise peraltro da Bankitalia, dalla Corte dei Conti e dall’Fmi: la manovra è troppo ottimista, la previsione di crescita dell1% è azzardata, le previsioni reali sul debito sono più che preoccupanti. Quelle voci «informali» fanno sapere al governo di Roma, con discrezione ed evitando traumi, che il Sì europeo alla concessione dei quasi 8 miliardi di euro di flessibilità aggiuntiva sono tutt’altro che scontati. La strada, anzi, resta in salita e molto dipenderà dai «ritocchi» che il ministro dell’Economia apporterà nei prossimi giorni.

A tutt’oggi, comunque, l’ipotesi più probabile resta quella di un rinvio di fatto. Negare la flessibilità all’Italia sotto la mannaia del referendum sarebbe troppo rischioso. In Europa Renzi continua a essere visto, se non come un bene, come il male minore. L’Europa dovrebbe di conseguenza allargare i cordoni della borsa, soprattutto se arriveranno da Padoan i segnali richiesti, vincolando però la flessibilità ai soliti «esami di riparazione» primaverili.

Per Renzi sarà più che sufficiente. Deflagrante sarebbe solo una improbabile bocciatura secca. Ciò non toglie che la campagna del Def non stia andando come il governo sperava. Le accuse di aver messo nero su bianco previsioni esageratamente ottimistiche sono troppe e arrivano da istituzioni troppo insospettabili per non gettare ombre sull’operato del governo. Una sorveglianza così stretta, oltre tutto, renderà difficili le misure «elettorali» sulle quali il presidente del consiglio puntava in vista del referendum. Ci saranno, ma giocoforza limitate.
Gli ostacoli in Parlamento, poi, non arrivano solo dall’opposizione, con una Forza Italia particolarmente scatenata soprattutto grazie all’offensiva senza posa del Brunetta furioso, ma anche dalle file dello stesso Pd.

E ieri, senza il provvidenziale soccorso dell’amico Denis, il governo sarebbe andato sotto nei voti più importanti di tutti, quelli sul rendiconto 2015 e sull’assestamento del bilancio 2016: in pratica sui conti degli ultimi due anni. Al Senato erano infatti necessari 141 voti. Il governo ne ha incassati 142 sul rendiconto e 143 sul bilancio. Senza i 10 senatori alati che, pur continuando a fingersi fuori dalla maggioranza hanno votato a favore, il governo sarebbe stato sconfitto sul fronte più delicato di tutti. I voti di Verdini sono arrivati puntualmente. Arriveranno ogni volta che sarà necessario. Ma una maggioranza appesa al consenso dei mercenari del gruppo Ala tranquillo proprio non può stare.