L’appuntamento a Berlino con il voto del Bundestag è fissato per domani, ma forse già stasera si conoscerà la notizia che è attesa in molte cancellerie d’Europa: quanti democristiani tedeschi dissidenti voteranno contro il «piano di salvataggio» della Grecia. Alle 19 dovrebbe riunirsi il gruppo parlamentare Cdu/Csu per ascoltare le comunicazioni della cancelliera Angela Merkel e probabilmente – è una prassi comune da queste parti – verrà effettuata una «votazione di prova». Subito dopo il drammatico «accordo» di Bruxelles furono 60 i deputati democristiani a disobbedire a Merkel e al ministro Wolfgang Schäuble (che ieri ha invitato con una lettera i parlamentari a votare sì), rifiutandosi di autorizzare il governo a intraprendere le formali trattative per l’intesa con Atene che vale 86 miliardi di crediti e una pesante lista di «riforme». Ora c’è chi ipotizza che il numero di oppositori interni possa essere ulteriormente cresciuto.

L’approvazione del cosiddetto «pacchetto di aiuti» è, in ogni caso, più che scontata: la maggioranza di grosse Koalition, che comprende ovviamente anche i socialdemocratici della Spd, dispone di un margine enorme sull’opposizione formata da Linke e Verdi (504 contro 127). Quel che conta, però, è il dato politico, legato soprattutto alla discussione in corso sull’alleggerimento del debito ellenico – uno degli obiettivi principali di Alexis Tsipras. Il Fondo monetario raccomanda di alleggerire i greci da un debito insostenibile, rifiutandosi in caso contrario di partecipare al finanziamento di Atene. L’ultra-ortodosso Schäuble è contrarissimo, mentre la cancelliera appare timidamente disponibile a prendere in considerazione l’ipotesi. Un’estesa fronda nelle proprie file, però, potrebbe renderle più complicato percorrere quella strada.

Se la questione del debito greco è il tema principale, qualche franco tiratore potrebbe agire mosso anche da altre logiche: Merkel, al decimo anno da cancelliera, leader indiscussa senza forti rivali interni, per una parte del mondo democristiano è troppo poco «conservatrice» e guarda troppo a sinistra. Non è fantapolitica pensare che i settori più di destra di Cdu e Csu stiano cominciando a desiderare un suo indebolimento, che possa eventualmente indurla a rinunciare a presentarsi, nel 2017, per un quarto mandato alla guida del governo.

Un dibattito, quello sulla candidatura a cancelliere, che a dire il vero attraversa soprattutto la Spd, dove regna per ora molta incertezza. Il leader del partito e vicecancelliere, Sigmar Gabriel, ha da poco assoldato un nuovo consulente strategico: una notizia che non meriterebbe grande attenzione se non fosse che lo spin doctor in questione, Thomas Hüser, era fino all’anno scorso iscritto alla Cdu di Merkel. Al di là dell’imbarazzante aneddoto, quel che più conta è la sostanza politica: il nuovo consigliere è un fiero sostenitore di una «svolta al centro» dei socialdemocratici. Il modello? La politica dell’ex cancelliere Gerhard Schröder, quello delle «riforme» dello stato sociale e del mercato del lavoro.
Forti critiche alla scelta di Gabriel si levano dalla sinistra del partito, e grande irritazione trapela anche dall’entourage di Hannelore Kraft, la governatrice del Nordreno-Westfalia, probabilmente la figura attualmente più popolare fra i socialdemocratici. La linea che suggerisce il nuovo consigliere di Gabriel è, ovviamente, di chiusura verso l’ipotesi di alleanza con Linke e Verdi: oltre l’intesa con gli ecologisti non si può andare.

Al di là delle idee dell’ineffabile spin doctor Hüser, una coalizione progressista «rosso-rosso-verde» è una possibilità che, ad oggi, risulta effettivamente molto remota: la vicenda greca non ha fatto che acuire le tensioni e aumentare le distanze, in particolare fra socialdemocratici e Linke. L’orizzonte del 2017, tuttavia, è ancora lontano e le carte potranno ancora sparigliarsi: due anni, in politica, sono un’eternità.