Gesti, gesti, e ancora gesti. Ieri a Barcellona si è celebrato il primo Consiglio dei ministri nella capitale catalana, fra proteste e blocchi stradali. L’idea dell’esecutivo spagnolo era quella di trasmettere l’immagine del ponte fra le due capitali. Anche se Pedro Sánchez ha già celebrato un CdM a Siviglia e nelle prossime settimane lo farà anche a Murcia e Valencia, in molti hanno percepito la riunione come un gesto di prepotenza di Madrid: «il governo spagnolo si riunisce dove e quando vuole», ha riassunto polemicamente la portavoce del Govern catalano Elsa Artadi.

ANCHE LA DATA ERA SIMBOLICA: il 21 dicembre di un anno fa si erano celebrate le elezioni in Catalogna sotto il famigerato articolo 155. In realtà le proteste sono state meno intense del previsto (e certamente di quanto il Partito popolare e Ciudadanos, che soffiano sul fuoco da mesi, sperassero). Molti blocchi stradali, dentro e fuori Barcellona, una piccola manifestazione pacifica di Òmnium cultural (associazione indipendentista) la mattina, una manifestazione unitaria ieri sera di qualche decina di migliaia di persone nella centrale Passeig de Gràcia, e qualche carica a alcuni dei piccoli gruppi più radicali (i cosiddetti Cdr, comitati di difesa della repubblica, molto vicini alla Cup). Nonostante le immagini mattutine delle cariche della polizia e di qualche incappucciato, poca cosa. Bilancio: 12 arresti e una cinquantina di contusi (la metà, forze dell’ordine).

LA GUERRA VERA invece si giocava sui simboli. Da giorni il governo spagnolo e quello catalano litigavano sul formato del colloquio (avvenuto giovedì sera) fra Sánchez e il president catalano Quim Torra: a Barcellona volevano l’apparenza di un vertice; a Madrid, l’incontro con una comunità autonoma. Alla fine si è trovata una via di mezzo per quello che alla fine è stato uno scambio di 45 minuti, a cui è seguito un breve (ma anche qui simbolico: Madrid e Barcellona, ora, si parlano!) comunicato stile «we agree to disagree»: c’è un conflitto politico in Catalogna ma abbiamo idee diverse su come risolverlo. Poca cosa, ma un successo per Sánchez, nello stesso giorno in cui gli indipendentisti a Madrid hanno dato luce verde nel Congresso al primo passo per la discussione sul bilancio e a Barcellona il Parlament (nell’assenza dei deputati indipendentisti) ha approvato una mozione che rigetta l’unilateralità. Tutti microscopoci gesti, ma tutti significativi. Infatti il Pp strilla che Sánchez tradisce la Spagna, ed esige un nuovo 155, e Ciudadanos denuncia Torra per aver incoraggiato i Cdr. Anche Ada Colau, fuori programma, ha approfittato per riunirsi un’ora e mezza con Sánchez a colazione: fra l’altro, ha chiesto al governo di impegnarsi a bloccare gli affitti abusivi.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI ha approvato due misure enormemente importanti, previste nel bilancio 2019 pattuito con Podemos (da approvare) ma che Sánchez voleva portare a casa subito: l’aumento record da 736 a 900 euro del salario minimo (per 14 mensilità), e l’aumento del 2.25% dei salari dei dipendenti pubblici. A parte queste misure popolari, il governo socialista ha puntato su altri gesti: 112 milioni di investimenti in strade in Catalogna (ma il deficit di investimenti ferroviari, per dire, è di vari miliardi), e poi la decisione di battezzare l’aeroporto di Barcellona «Josep Tarradelles», figura di consenso (presidente catalano in esilio durante il franchismo, e primo presidente provvisorio della re-istituita Generalitat fino al 1980). La Generalitat si lamenta però che la scelta sia stata unilaterale. L’ex presidente Puigdemont lo ha riassunto per Twitter dicendo che «ci considerano una proprietà» se non possiamo neanche decidere il nome della nostra infrastruttura più importante.

INFINE, altro riconoscimento «simbolico» a Lluís Companys, ultimo president durante la Repubblica, condannato e fucilato dai franchisti. Una dichiarazione contro il consiglio di guerra che lo condannò, ma senza cancellare la sentenza (una legge per annullare tutte le sentenze franchiste del genere è in discussione al Congresso). «Se era per i tre accordi minori adottati dal Governo, non c’era bisogno di riunirsi a Barcellona», ha commentato la portavoce catalana Artadi.