Il primo segnale arriva a metà pomeriggio da Pier Luigi Bersani (che era stato chiamato dal sindaco qualche giorno fa), e sembra smuovere le acque stagnanti del Nazareno aprendo un varco nel muro di silenzio che oppone Matteo Renzi a Ignazio Marino, e che tiene in ostaggio Roma: «Nella storia dei partiti della sinistra ci sono stati passaggi drammatici, e li si è sempre affrontati riunendo il collettivo e mettendoci tutte le notti che ci volevano per trovare una strada. Sarebbe questo il metodo giusto», esorta l’ex segretario dem.

Poche ore dopo, a sorpresa, nell’abitazione romana del vicesindaco Marco Causi si apre il primo confronto tra il sindaco dimissionario e il commissario dem Matteo Orfini, che sul Corriere di ieri aveva anticipato: «Il finale della storia è già scritto: l’esperienza di Marino è finita». E che su Facebook, poche ore prima dell’incontro che avrebbe dovuto rimanere segreto, aveva attaccato gli «strumentali opportunisti» che nel partito si frappongono al «processo di rinnovamento e ricostruzione del Pd romano». Insieme ai due ex alleati si ritrovano anche tre assessori – Stefano Esposito, il magistrato Alfonso Sabella e la fedelissima del sindaco Alessandra Cattoi – e uno stretto collaboratore di Marino, Roberto Tricarico. Sul tavolo tutte le ipotesi possibili per uscire dal «gran pasticcio» in cui si è messo il Pd, per usare le parole pronunciate dal presidente della commissione bilancio della camera, Francesco Boccia, su Radio Radicale «Ci siamo incartati, spero che adesso prevalga la politica e non le decisioni in qualche stanza isolata dalla realtà».

L’incontro termina a tarda sera, e Marino lascia l’abitazione del suo vice sostenendo che «la riunione è andata benissimo», ma senza aggiungere nulla di nuovo: «Come ho detto nei giorni scorsi sto, riflettendo». E l’assessore Esposito, subito dopo: «Non è cambiato nulla. Ci siamo parlati cordialmente e serenamente, si è riaperto un canale». E’ poi Sabella a tirare fuori la formula dell’incontro «franco e cordiale», confermando così che ognuno resta sulle sue posizioni.

Il sindaco dimissionario ha tempo fino alle 23:59 di domenica 1° novembre per fare il passo indietro promesso ai suoi supporter e osteggiato dal partito nazionale. Giusto un minuto per protocollare elettronicamente il ritiro delle dimissioni consegnate il 12 ottobre scorso, e la palla passerebbe tutta nelle mani del Pd. Che, al solo pensiero si è già «incartato» alla ricerca disperata quanto impossibile di una maggioranza assoluta di consiglieri (25 su 49, sei in più del gruppo dem) disposti a dimettersi in blocco, non potendo presentare una mozione di sfiducia valida politicamente, né votare quelle delle opposizioni. Marino però potrebbe offrire una via d’uscita al partito che lo ha rinnegato: attende un gesto pubblico di riconoscimento dalla segreteria nazionale, per non considerare definitivamente rotto il legame politico e portare dunque lo scontro fino alle estreme conseguenze. Per questo, prima di decidere, aspetta un segnale da Renzi, rientrato ieri sera da L’Avana. E vuole che l’epilogo si consumi davanti al consiglio comunale.

«Un sindaco eletto non può andarsene senza un confronto democratico con chi rappresenta i cittadini, che sono gli eletti in aula Giulio Cesare – aveva detto Alessandra Cattoi ieri pomeriggio, prima del rendez-vous – È alquanto strano che se ne vada perché glielo chiede qualcun altro, senza motivo apparente e senza che la sua maggioranza spieghi in una sede istituzionale perché non c’è più la fiducia. Così i cittadini non capiscono e non andranno più a votare».

Anche Marino stesso potrebbe chiedere la convocazione dell’aula: la presidente Valeria Baglio ha ribadito ieri che il suo ruolo le impone di rispondere immediatamente alla richiesta legittima del sindaco convocando la capigruppo e fissando poi la seduta nel giro delle 24 ore successive, domenica compresa: «I tempi ci sono ancora», ha spiegato la consigliera che è tra i dem meno ostili al «marziano». Una possibilità caldeggiata anche da Sel: «La maggioranza è composta da tre gruppi che non sono stati mai sentiti. È una questione di correttezza istituzionale», sottolinea la vicepresidente dell’assemblea, Gemma Azuni. Che proprio non crede al comunicato diramato martedì dal gruppo dem per volere di Orfini: i consiglieri Pd uniti come un sol uomo contro Marino? «Anche questo è da vedersi…».