Raggiungeva le pagine dei giornali italiani, circa un mese fa, la notizia che le primarie repubblicane di un distretto sicuro della Georgia («autostrada» verso un seggio al Congresso) erano state vinte da una candidata sostenitrice della teoria complottistica QAnon. Per chi già non lo sapesse, e in estrema sintesi, QAnon è una sorta di rivelazione nata su forum online, secondo cui la politica mondiale cela, nel suo fondo, una lotta tra una congrega di satanisti pedofili (Clinton, Obama, Soros, ovviamente) e un cavaliere senza macchia (Donald Trump, ovviamente). L’aspetto rilevante della notizia era il fatto che questa bizzarra fede – che sembra un’emanazione della Letteratura nazista in America di Bolaño – sia arrivata oggi, grazie alla candidata della Georgia, a un passo dalla legittimazione istituzionale. È, questo, il segnale di un avanzamento di istanze irrazionali all’interno del palcoscenico politico, in cui già – lo sappiamo bene anche noi italiani – hanno un ruolo complottisti e antivaccinisti della più varia estrazione.
A un passo dalle elezioni Usa di novembre, ci aiuta ad affrontare tali fenomeni il saggio di Justin E.H. Smith Irrazionalità Storia del lato oscuro della ragione (Ponte alle Grazie, traduzione di Andrea Branchi, pp. 395, € 29,00). Il filosofo americano (che insegna all’Università di Parigi-VII e si occupa principalmente di storia e filosofia della scienza, con particolare attenzione all’epoca moderna) lo ha concepito tra il 2016 e il 2018, sull’onda dell’evento dirompente e traumatico che è stata la vittoria di Trump, e adempie in questo modo a quel compito della filosofia che, seguendo Hegel, è apprendere il proprio tempo con il pensiero. Smith lo fa non tanto indossando le vesti del Polemico – per richiamare uno dei «tipi» storici del filosofo analizzati nel suo precedente libro Il filosofo. Una storia in sei figure (Einaudi 2016) – ma con le armi nobili dello storico, di chi è abituato a leggere gli eventi alla luce delle tradizioni e dei contesti. Questa attitudine gli consente di tracciare una genealogia dell’irrazionale che non è una detection orientata a trovare un «colpevole» per l’inquinamento delle «magnifiche sorti e progressive» della ragione, ma la constatazione di come «l’irrazionalità sia tanto potenzialmente dannosa quanto umanamente inestirpabile, e che gli sforzi per sradicarla siano estremamente irrazionali». Una tesi non certo nuova – lo ribadisce lo stesso Smith – ma che di continuo scivola «in quella vasta categoria di cose che sappiamo ma non sappiamo».
È un percorso articolato, quello su cui si muove la ricostruzione genealogica di Smith, e che attraversa ambiti in cui la ragione si è confrontata con la sua «gemella oscura» in un modo che non ha tanto la forma di una lotta aperta o di una divisione di campi, quanto di un rapporto più sfumato, in cui l’una si trasforma nell’altra. Non si tratta semplicemente di trasferimenti di significato: in molti casi, nella storia delle idee, presupposti irrazionali hanno portato a conquiste poi rientrate a pieno diritto nell’ambito della razionalità. È accaduto per alcune scoperte scientifiche, e qui Smith ci ricorda la lezione di Paul K. Feyerabend, secondo cui alcuni dei più importanti progressi della scienza nella modernità hanno attinto a tradizioni che si ponevano all’esterno dell’ortodossia scientifica, e che ancora sarebbero discutibili per gli standard attuali (si veda in proposito l’interesse di Copernico per il pitagorico Filolao). Ma, come ci ha insegnato la Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer, è accaduto anche il contrario. Smith ci riporta quindi alla contemporaneità, riconoscendo il fallimento del progetto di Internet come veicolo di libertà e amplificatore di democrazia: quello che sappiamo dalla storia recente – e il filosofo americano indica appunto il 2016 dell’elezione di Trump come data epocale di questa scoperta – è che la rete è diventata veicolo di manipolazioni che soffocano la democrazia e che rinchiudono gli utenti in una cultura tribale, basata su «un’ontologia sociale che suddivide l’umanità in generi fondamentalmente distinti, dove qualsiasi cosa sia caratteristica di un altro genere di essere umano è per definizione aliena». L’ambiente adatto per la proliferazione di culti come QAnon, o per terrapiattismi e antievoluzionismi di varia natura, che sono collanti narrativi di legami tribali, e che grazie alla rete finiscono per accreditarsi a spiegazioni «alternative» del mondo.
Al di là della stringente trattazione di argomenti di attualità, il saggio di Smith non perde di interesse quando, nell’ultima parte, si scosta dall’urgenza «politica» per interrogarsi su questioni di natura più squisitamente esistenziale. Smith lo fa rievocando un episodio che, nel 1968, vide protagonista Thomas Bernhard; ricevendo un premio, lo scrittore scandalizzò la platea con un discorso in cui diceva: «Non c’è niente da celebrare, niente da criticare, ma è tutto ridicolo; è tutto ridicolo, se solo pensiamo alla morte». Ogni conquista e trofeo perde di senso di fronte all’idea della morte, tanto le costruzioni della ragione quanto la dispersione nell’irrazionale. Qual è allora la risposta a questo non-senso? Cos’è che caratterizza davvero l’uomo: la ragione o l’irrazionalità? Nessuna delle due opzioni, sembra suggerire Smith, ma quel regno intermedio costituito dalla ripetizione o dalla ritualità. Da intendersi in senso non soltanto o principalmente religioso, ma come l’insieme dei tentativi di ordinare il mondo che non si basano per forza su un’articolazione concettuale. È quello che fa, ad esempio, l’arte, ed è al poeta Les Murray e al Tarkovskij di Sacrificio che si richiama Smith evocando questa idea. «Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio»: così recita una frase celeberrima di Samuel Beckett, che alla luce della riflessione di Smith risuona come l’unico programma sensato, al di là di razionalità e irrazionalità, per ogni impresa umana.