Non ci fossero state la tragedia dell’hotel Rigopiano e le polemiche sui ritardi nei soccorsi in tutte le aree terremotate e alle prese con nevicate estreme, la riforma della Protezione civile sarebbe rimasta in un cassetto ancora per chissà quanto tempo, nonostante i tre devastanti terremoti degli ultimi mesi nell’Italia centrale. Il precipitare degli eventi potrebbe invece produrre l’effetto di scongelare un progetto di legge delega sul riordino della Protezione civile che giace da mesi nei cassetti del Senato.

Il progetto di legge era stato approvato alla Camera nel settembre 2015, poi era scomparso dai riflettori: da ottobre è fermo nei cassetti delle commissioni Ambiente e Affari costituzionali del Senato e non è stato mai calendarizzato. Prevede una delega al governo, da esercitare entro nove mesi dall’approvazione definitiva con l’obiettivo di compiere una «ricognizione, riordinare, coordinare, modificare e integrare» le norme in vigore per quanto riguarda il Servizio nazionale della Protezione civile.

Affossato dal referendum del 4 dicembre, che se fosse passato avrebbe riportato l’intera materia in capo allo Stato, e poi dal dibattito sulla legge elettorale, sarà ora probabilmente ripreso in mano dal governo stesso, stando alle parole pronunciate da Paolo Gentiloni domenica sera in diretta a Che tempo che fa, intervistato da Fabio Fazio: «Dobbiamo dare poteri straordinari a chi si occupa di emergenza e ricostruzione, ovvero alla Protezione Civile e al commissario per la ricostruzione». Tra le righe, il premier non ha escluso che si possa riesumare il ddl: «Nei prossimi giorni ci concentreremo con l’Anac e con il Parlamento su quali possano essere questi poteri straordinari, perché non possiamo avere strozzature burocratiche» e «dobbiamo dare un segnale di accelerazione forte e chiaro» ai cittadini.

Lo strumento potrebbe essere quello della legge delega già in discussione, che avrebbe il vantaggio di dover essere approvata da una sola Camera.Nel dossier preparato dal Servizio studi del Senato si chiede solo di spiegare se con il provvedimento si punti al mero «riordino» della materia o invece al suo «riassetto», introducendo delle innovazioni. Tra gli obiettivi, la volontà di rafforzare le operazioni di pianificazione e di specificare meglio la filiera delle responsabilità, prevedendo un monitoraggio e un aggiornamento periodico delle misure adottate, con tanto di relazione al Parlamento da parte del presidente del Consiglio.

A prescindere dallo strumento giuridico, l’impressione è che domenica sera Gentiloni abbia voluto soprattutto salvare la Protezione civile dalla gogna populistico-mediatica: «Attenzione a scatenare questa voglia di trovare capri espiatori», ha detto, «temo di lasciarci andare, temo un Paese incattivito che cerca subito il giustiziere e il capro espiatorio. La verità serve a far funzionare le cose meglio, non a cercare vendette». Il premier ha difeso a tutto tondo l’operato dei volontari: «Abbiamo un sistema di protezione civile che dobbiamo tenerci stretto, è tra i migliori al mondo», «la reazione all’emergenza straordinaria è stata straordinaria».

Una difesa politica, piuttosto che l’ennesimo annuncio mediatico, per un ente già minato dalle polemiche e dalle inchieste per la gestione delle emergenze nell’era Bertolaso (a cominciare dalla gestione del terremoto abruzzese), quando il governo Berlusconi gli aveva dato carta bianca e i disastri compiuti si pagano ancora oggi. Gentiloni sa che quella è un’esperienza da non ripetere, ma si trattava di rispondere all’opinione pubblica di un paese «incattivito» e alla ricerca di «giustizieri e capri espiatori». Se il messaggio ha funzionato si vedrà nei prossimi giorni. Nel frattempo. la Protezione civile ha dato i numeri dell’emergenza terremoto e neve: «13.668 persone alloggiate negli alberghi, ma anche nelle strutture comunali delle regioni interessate».