Adesso tutti parlano di «risultato storico» ma per raggiungerlo l’Unione europea ha dovuto ancora una volta fare i conti con l’egoismo dei soliti paesi dell’est ai quali si è aggiunta l’Austria, restii ad accettare all’interno dei propri confini profughi che non siano ucraini. Alla fine Polonia, Ungheria, Slovacchia e la stessa Austria hanno ceduto, ma avranno comunque la possibilità di decidere che tipo di protezione e quali garanzie offrire ai profughi di paesi terzi che da giorni, come gli ucraini, fuggono dall’aggressione russa.

E’ il compromesso raggiunto faticosamente ieri al vertice dei ministri dell’Interno dell’Unione che si sono riuniti a Bruxelles. Sul tavolo l’approvazione di una delibera del 2001 che consente il riconoscimento di una protezione temporanea a chi fugge dalla guerra. Di fatto si tratta di un’equiparazione allo status di rifugiato che prevede il riconoscimento di un permesso di soggiorno della durata di un anno, rinnovabile fino a due, e consente a chi ne è titolare di lavorare, mandare i figli a scuola, avere assistenza sanitaria e di spostarsi senza limitazioni tra gli Stati membri.

Sulla carta il via libera sembrava scontato, così come scontato era il fatto che il blocco di Visegrad avrebbe fatto resistenza per timore che, una volta approvata, la delibera possa costituire un precedente anche per altre situazioni di emergenza. A partire dai migranti che aspirano a entrare in Europa.

La novità è stata rappresentata dalla determinazione con cui Polonia, Slovacchia, Ungheria e Austria si sono opposti alla possibilità di estendere i benefici previsti dalla delibera anche ai non ucraini che però si trovavano nel paese al momento della scoppio della guerra, Si tratta di persone che si trovavano in Ucraina per motivi di studio o di lavoro oppure di apolidi. Impossibile fare numeri precisi. Due giorni fa la Polonia ha reso noto di aver fatto passare attraverso il confine con l’Ucraina persone provenienti da 160 paesi, compresi Marocco, Nigeria, Algeria, Afghanistan e Pakistan. Tutti Stati sui cui cittadini la Polonia, come gli altri paesi di Visegrad, intendono mantenere il controllo sull’accettazione o meno delle richieste di asilo.

Al mattino la situazione è talmente complicata che la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson esclude che si possa giungere a una soluzione in tempi brevi, come pure tutti speravano: «E’ improbabile che si arrivi all’approvazione della direttiva sulla protezione temporanea, ci vorranno giorni. Se fosse oggi sarei molto positivamente sorpresa», avverte.

Una situazione di stallo che permane fino a quando si decide di convocare una riunione degli ambasciatori nella speranza di trovare una soluzione. Un fallimento rappresenterebbe un disastro per la diplomazia europea, perché dimostrerebbe l’incapacità dell’Unione di fra fronte in maniera unitaria a una crisi umanitaria come quella ucraina, con oltre un milione di profughi che hanno già passato i confini e stime che fanno prevedere a Bruxelles l’arrivo di almeno altri quattro milioni di persone. Senza contare il fatto che l’incapacità di prendere una decisione rappresenterebbe un regalo alla Russia di Putin.

Alla fine il compromesso viene trovato. Dopo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale della delibera, ogni Stato membro dovrà recepirla applicandola agli ucraini ma stabilendo anche autonomamente che tipo di protezione riservare ai cittadini di paesi terzi, con variazioni che possono riguardare, ad esempio, la durata del permesso di soggiorno.

E’ la stessa Johannson a spiegarlo al termine del vertice: «La proposta della Commissione diceva che chi ha nazionalità di un Paese terzo ed è residente da tempo n Ucraina dovrebbe essere coperto» dalla protezione temporanea, mentre il testo finale votato dai ministri «dice che dovrebbe essere coperto dalla direttiva sulla protezione temporanea o dalla legislazione nazionale».

E’ l’ennesima vittoria del blocco del blocco di paesi da sempre favorevoli a una linea dura nei confronti dei migranti, anche se fuggono da situazioni di guerra come in questo caso. Comunque sia, a pericolo scampato tutti possono tirare un sospiro di sollevo e dirsi soddisfatti per il risultato raggiunto. Primo fra tutti il ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin: «E’ un accordo storico, l’Ue è unita e solidale», dice sorvolando sulle divisioni che si sono viste durante tutto il giorno.