Ma quindi chi vince in Sudan? «Bashir, hai ballato per 30 anni, oggi è il nostro ballo» – intonano festanti gli esuli, a bordo dell’aereo che li riporta a Khartoum.

L’ampia e tenace mobilitazione di piazza che ha preso le mosse, quattro mesi fa, dalle proteste per l’aumento del prezzo del pane, allargandosi fino ad avere come protagonista la classe media della capitale, ha infine forzato l’uscita di scena del dittatore ricercato dalla Corte Penale Internazionale, il brigadiere che nell’89 prese il potere tramite il golpe orchestrato da una coppia inedita, islamisti e militari.

ORA, A DISTANZA DI 30 ANNI, abbiamo visto un altro militare, Awad Ibn Auf, annunciare il colpo di stato, per essere a sua volta messo da parte a distanza di 30 ore. Allora come ora il segno del cambiamento è incerto: Da che parte sta il generale Abdel Fattah Burhan?
Durante il golpe dell’89 si dovette aspettare che si depositasse parecchia polvere, inclusa la messinscena dell’arresto dell’istrionico ideologo islamista al-Turabi, prima di capire che la Fratellanza Musulmana aveva preso il comando del Sudan, esponendolo al ruolo di incubatore e palcoscenico globale per un nuovo tipo di riformismo islamista dai tratti populisti.

Anche oggi è difficile attribuire un’etichetta politica al nuovo leader in uniforme: a differenza di allora, però, nel 2019 le vie di Khartoum straboccano e ribollono.

La mobilitazione è ampia, articolata, ostinata: nonostante la complessità del tessuto politico del paese, l’Associazione dei Professionisti Sudanesi (SPA) – vera colonna vertebrale delle manifestazioni – è riuscita a portare grandi masse composite davanti al quartier generale dell’esercito, sfidando a lungo arresti e molestie, fino ad ottenere tanto la testa di Salah Gosh, l’odiato capo degli apparati di sicurezza (NISS), quanto l’impegno a tenere il partito di al-Bashir fuori dalla transizione.

Coinvolto nel coordinamento degli irregolari Janjaweed nei massacri del Darfur, Ibn Auf ha cercato di chiudere il circuito rivoluzionario sospendendo la costituzione e dichiarando il coprifuoco, ma è stato immediatamente sconfessato dai manifestanti, che hanno disobbedito in massa e inondato le strade tutta notte. Il nuovo leader Burhan si è impegnato a non cercare di sgomberarli: negozia le regole del gioco e promette un civile come primo ministro.

C’È DA FIDARSI? Burhan è comandante delle truppe di terra, uno dei pochi alti gradi senza pedigree islamista. Già attaché militare a Pechino, è stato nominato ispettore generale dell’esercito, e ha guidato i 6000 uomini del contingente sudanese intervenuto in Yemen a fianco di sauditi ed emiratini, dei quali si è guadagnato la fiducia.

Il dispiegamento dei sudanesi in Yemen è stato oggetto di controversia interna, mentre l’afflusso parallelo di soldati-bambino dal Darfur ingaggiati direttamente dai sauditi ha attirato critiche sul piano internazionale.

Il composito panorama politico sudanese oggi riflette le profonde tensioni che attraversano lo spazio che fa dai paesi del Golfo al Maghreb, passando per l’Egitto e la fascia sahelo-sahariana.

SPONSORIZZATA DA QATAR e Turchia, la Fratellanza – avvezza a giocare a fianco delle sollevazioni dal basso, si trova oggi sulla difensiva, con il proprio vessillo abbassato da mobilitazioni popolari proprio a Khartoum dove per primo venne alzato 30 anni fa.

E così, mentre Erdogan irrigidisce le proprie ambizioni inviando un centinaio di consiglieri d’ambasciata a fungere da commissari politici presso le ambasciate turche, ecco sauditi ed emiratini, storicamente assai diffidenti verso qualsiasi sollevazione dal basso, dover fare i conti con un intero, composito popolo che in Sudan tiene la piazza contro un governo percepito come emanazione della Fratellanza.

PARADOSSO NEL PARADOSSO, l’Egitto di al-Sisi, che proprio a un golpe contro quest’ultima deve il potere, ha tentato fino all’ultimo di puntellarne la variante sudanese per preservare lo status quo nel vicinato, salvo poi accodarsi ai regimi amici, e riconoscerne la nuova giunta militare.

Il regime di Bashir aveva infatti da anni ha perso la propria carica virulenta: purgato dell’impeto ideologico era diventato un sistema di conservazione burocratico-repressiva altamente dipendente dalle esportazioni di greggio verso la Cina.

L’agenda saudita ed emiratina punta dunque oggi a consolidare il riallineamento del Sudan nella propria orbita, mettendo ai margini gli islamisti, e segnando un punto contro Qatar e Turchia. Gli alti gradi dell’esercito sudanese sono il cavallo su cui puntare, alla ricerca un omologo di Sisi o Haftar, insomma di un uomo in uniforme capace di dichiarare che il popolo non è pronto per la democrazia e che i diritti umani sono un’imposizione occidentale.

Quanta possibilità ha questo modello di affermarsi, e a che prezzo? Se si guarda oltre il fosco e imprevedibile quadro di Egitto e Libia oggi, le proiezioni dei paesi del golfo sull’intera regione poco hanno a che fare con un quadro di stabilizzazione, inclusione e democrazia.

È SUFFICIENTE gettare un occhio alle pressioni sulla fragile democrazia tunisina, sola superstite della stagione delle primavere arabe, per vedere come dietro al pretesto della messa ai margini degli islamisti e di estirpazione del jihadismo si celino propositi di pura restaurazione che alimentano pulsioni autoritarie.
Il generale Burhan ha dichiarato che il Sudan ha riserve di grano e petrolio fino a giugno. I sauditi, importatori di prodotti agricoli sudanesi, hanno promesso ‘aiuti umanitari’.

Come già i manifestanti algerini, che stanno mettendo a nudo le volontà di autoriproduzione del sistema che li governa, e vengono nuovamente dipinti dalla stampa governativa come criminali, i manifestanti e le manifestanti sudanesi (le cosiddette kandakas) danno prova di aver imparato alcune delle lezioni emerse dalle rivolte arabe del 2011.

AL TENTATIVO DEL REGIME di dividerli additando gli studenti del Darfur come untori, sono scesi nelle strade gridando ‘Siamo tutti Darfur!’ Davanti all’intimazione a smobilitare e tornare a casa, hanno riempito le piazze, e ora esigono niente meno che democrazia.