«No è no», ha gridato instancabilmente la popolazione della provincia argentina di Chubut di fronte ai tentativi del governo locale di dare il via all’estrattivismo minerario.

Ha continuato a ripeterlo per 18 anni da quando, nel 2003, in una storica consultazione popolare nella città di Esquel, più dell’80% degli elettori aveva votato contro lo sfruttamento di un giacimento d’oro da parte dell’impresa canadese Meridian Gold.

Alle orecchie del governatore Mariano Arcioni, spalleggiato dallo stesso presidente Alberto Fernández, quel no non c’è stato verso di farlo arrivare. E così mercoledì, in una sessione speciale convocata di soppiatto per un altro scopo, il Parlamento di Chubut, con 14 voti a favore e 11 contro, ha approvato l’attività mineraria nei dipartimenti di Gastre e Telsen, dove si trova il secondo giacimento di argento e piombo più grande del pianeta, il Proyecto Navidad della Pan American Silver Corp. Una delle più grottesche caricature della democrazia a cui il paese abbia mai assistito dalla fine della dittatura.

Già a maggio l’Assemblea legislativa provinciale aveva respinto il progetto di legge di iniziativa popolare contro lo sfruttamento minerario presentato dall’Unión de Asambleas Ciudadanas, che in piena pandemia aveva raccolto quasi 31mila firme, molte di più di quelle necessarie.

Sei anni prima, il primo progetto di legge contro la «megaminería» era stato completamente ignorato. Il clamoroso tradimento della volontà popolare ha scatenato però immediate e massicce proteste, che non accennano a rientrare, malgrado la polizia abbia reagito alla sua maniera, lanciando lacrimogeni, sparando proiettili di gomma e arrestando manifestanti.

E mentre l’assemblea degli abitanti della località di Puerto Pirámides, dove interi settori non hanno accesso all’acqua potabile, ha dichiarato persone non grate i 14 deputati che hanno votato a favore dell’estrattivismo, il governatore, nel suo mondo alla rovescia, ha avuto il coraggio di attaccare i manifestanti: «Non credano di poter calpestare i diritti di tutta una provincia».

In difesa della lotta della popolazione è scesa in campo anche la Centrale dei lavoratori argentini (Cta) di Chubut, evidenziando le «molte alternative esistenti per non mettere a rischio il presente e il futuro» della regione.

Basterebbe, ha sottolineato, «avere volontà politica», insieme alla decenza di «rispettare la volontà di un popolo che si è espresso innumerevoli volte contro la megaminería, esigendo «lavoro degno, sostenibile nel tempo e rispettoso dell’ambiente, senza compromettere l’acqua, il territorio e la vita».

Tanto più che la provincia è attraversata da tempo da una grave crisi idrica, con un deficit di precipitazioni che si è aggravato in tutto il sud e l’ovest della Patagonia, i laghi che si stanno prosciugando e il livello delle falde acquifere che scende. Ma, assicurano i manifestanti, «non finisce qui»: «Finché non ritireranno la legge, non ci fermeremo».