L’inviato degli Stati Uniti in Medioriente, Hady Amr, dopo aver incontrato i dirigenti israeliani si è recato nella Cisgiordania occupata per colloqui con il presidente palestinese Abu Mazen, con il quale ha poi parlato al telefono anche Joe Biden. Il suo obiettivo sarebbe quello di arrivare alla fine delle ostilità tra israeliani e palestinesi. Colloqui inutili e perché gli Usa sono comunque schierati con Israele. Abu Mazen e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a Ramallah sono la componente più marginale, impotente, incapace di incidere in qualche modo in questa crisi. L’Anp può solo preoccuparsi che lo scontro Hamas-Israele e le sofferenze della popolazione di Gaza non finiscano per incendiare la Cisgiordania. Gli 11 uccisi, da spari israeliani, nelle manifestazioni di venerdì sono un segnale chiaro della tensione e della rabbia che montano nelle città autonome, da Ramallah a Betlemme, da Hebron e Jenin. Non è passato inosservato l’incendio della stazione di polizia palestinese nel villaggio di Urif.

«Per me è un fatto isolato ma al di là dei fatti di Urif, Abu Mazen e l’Anp ora sono più deboli» ci diceva ieri Abu Khalil Al Lahham mentre a Betlemme si avviava il lungo corteo per l’anniversario della Nakba, la «catastrofe», nel quale i palestinesi ricordano le centinaia di migliaia di profughi della guerra del 1948 e la perdita della terra. «Si è messo in moto qualcosa di importante, che non si vedeva da lungo tempo e non si fermerà. E non solo nei Territori occupati», ha aggiunto Al Lahham, una sorta di osservatore politico del popolo, conosciuto e stimato nel campo profughi di Dheisheh. «Il piano dei coloni israeliani – ha spiegato – di sfrattare con l’inganno e la forza le famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah (Gerusalemme Est, ndr) ha scosso i nostri giovani, perché ogni giorno qui in Cisgiordania in tanti villaggi fanno i conti con i raid dei coloni. I giovani palestinesi sono tanti e stanchi dell’occupazione israeliana, delle colonie, dell’Anp, del mondo che parla e non fa nulla, di tutto». Suo cugino Murad si è detto molto sorpreso dalla mobilitazione dei palestinesi d’Israele. «Israele – ha commentato – per oltre 70 anni si è impegnato a dividerci in tanti gruppi: arabo israeliani, palestinesi, drusi, circassi, cristiani, musulmani…è bastata la storia di Gerusalemme e in un solo giorno siamo tornati ad essere un unico popolo».

Manifestazioni e raduni si sono tenuti ieri in tante località della Cisgiordania, non solo per l’anniversario della Nakba. Tanti slogan e striscioni si riferivano a Gaza e a Gerusalemme. Scontri tra dimostranti e soldati israeliani sono avvenuti ad Al Bireh e Balua (Ramallah) e dove i posti di blocco dell’esercito premono su villaggi e cittadine palestinesi. «Voglio mandare un messaggio ai palestinesi di Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr): lo Stato di Israele non è interessato a una escalation ma è pronto ad ogni scenario» ha minacciato il ministro della difesa Benny Gantz. Ma le variabili di cui dovrà tenere conto aumentano di ora in ora. Centinaia di giovani libanesi e palestinesi si sono ammassati ieri a ridosso del muro in cemento armato eretto in corrispondenza della Linea Blu di demarcazione col paese dei cedri, per esprimere solidarietà con i palestinesi di Gaza e Cisgiordania e commemorare il loro compagno ucciso venerdì dal fuoco dei soldati israeliani. Alcuni di loro sono riusciti ad arrampicarsi su una torretta di metallo lungo il muro, nei pressi di Kfar Kila. E resta calda la situazione anche in Giordania dove due giorni fa migliaia di persone hanno manifestato a ridosso della frontiera con Israele.