In Brasile, la piazza non si arrende e continua a manifestare al grido di «Fora Temer». Contro il presidente «de facto» hanno marciato oltre 100.000 persone. A San Paolo, hanno sfidato il divieto di manifestare al passaggio della torcia per i giochi paraolimpici. Vi sono stati scontri con la polizia militare, che ha nuovamente usato la mano pesante. Dalla Cina, dove si trova per partecipare al G20, Temer ha commentato con arroganza: «Sono piccoli gruppi. Non ho le cifre esatte, ma sembra siano 40, 50, 100.000 persone. Niente di più. Su un totale di 204 milioni di brasiliani è una quantità insignificante. Poi ha definito i manifestanti «predoni» che devono essere «pacificati».

Il pulpito da cui pontifica Temer non è certo dei più appropriati, come non lo è quello dei deputati e senatori che hanno approvato l’impeachment: in maggioranza sotto inchiesta per corruzione o peggio. L’ex vicepresidente, che ha costruito la destituzione di Rousseff insieme all’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, un bandito politico poi costretto, a dimettersi, membro dello stesso partito, il Pmdb. Secondo i giudici, tra il 2010 e il 2014, la formazione centrista ha ricevuto dai costruttori oltre 40 milioni di dollari di «donazioni» per la sua campagna elettorale. Tangenti pari all’1% del valore del contratto per la costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, la terza più grande del mondo, costato 41,8 milioni di dollari. Un progetto molto contestato dai gruppi indigeni dai movimenti.

La notizia è stata pubblicata su Folha, non certo favorevole a Dilma. Le informazioni arrivano dai pentiti dell’inchiesta Lava Jato, la «mani pulite» brasiliana che indaga sulla corruzione dell’impresa petrolifera di Stato Petrobras. Un’indagine che ha coinvolto tutti i grandi partiti, ma che ha soprattutto lapidato gli inquisiti del Partito dei lavoratori (Pt) che ha governato per 13 anni. A luglio, la Corte suprema ha deciso di mettere sotto inchiesta i vertici del Pmsb, un partito che non vince le elezioni, ma risulta sempre determinante nel frastagliato quadro politico del Brasile. I principali beneficiari delle tangenti risultano essere quattro senatori. Tra questi, il presidente del Senato che ha giudicato Rousseff, RenanCalheiros. Un altro, Romero Juca, nominato da Temer ministro di Pianificazione il 12 maggio, ha dovuto dimettersi una settimana dopo.

A pochi giorni dall’impeachment a Rousseff per cosiddetto «crimine di responsabilità fiscale», il Congresso ha approvato una legge che mette al riparo Temer dalle stesse imputazioni che hanno destituito Dilma: essersi fatta anticipare i soldi dalle banche per coprire il bilancio, senza autorizzazione del Parlamento. Ora quella prassi utilizzata (senza conseguenze) a tutti i livelli di governo – la «pedalata fiscale» – non sarà più perseguibile.

«Elezioni generali subito», hanno gridato le piazze di San Paolo: lo stesso slogan che segnò la fine della dittatura civico-militare (1964-1985). Un obiettivo che Dilma aveva indicato poco prima di essere estromessa e intorno al quale il Pt cerca di costruire un’opposizione efficace. A manifestare (contro la privatizzazione di Petrobras e le concessioni alle multinazionali nella zona del Pre-sal, e le leggi liberticide annunciate da Temer) c’erano anche diversi senatori Pt. Il grosso di quei 54 milioni che hanno votato Rousseff per un secondo mandato e ai quali si vorrebbe imporre Temer fino al 2018, sono però ancora silenti. I Sem Terra, invece, continuano le occupazioni.

Ha scritto il noto teologo della Liberazione Leonardo Boff: «Sicari travestiti da senatori hanno attaccato una donna onorata e incorruttibile per fare con lo Stato quello che hanno sempre fatto: approfittare dei beni pubblici per arricchirsi, sfuggire alla giustizia e mantenere i loro privilegi, a scapito del popolo, un esercito di riserva utile per servire, quasi come schiavi».

E il papa Bergoglio ha invitato a pregare la Vergine di Aparecida, patrona del Brasile «in un momento così triste» per il paese, affiché protegga gli ultimi «dagli sfruttatori di ogni tipo e salvi il popolo con la giustizia sociale e l’amore di Gesù Cristo». E ha detto che, forse, non si recherà più in Brasile, come invece aveva promesso nel 2013.