Torna a macchiarsi di sangue la grave crisi politica in cui si dibatte la Repubblica democratica del Congo, stante l’indisponibilità del presidente Joseph Kabila a farsi da parte. Passato oltre un anno dalla scadenza del suo ultimo mandato e quando ne mancaun altro alla data del 23 dicembre 2018 infine stabilita per le elezioni, le crescenti pressioni interne ed esterne (è di pochi giorni fa l’ennesima risoluzione di condanna dell’Unione europea) non sembrano sortire effetti.

Insieme alla combinazione di conflitti e crisi umanitarie che affliggono la provincia del Kasai come il Nord e il Sud Kivu, la polizia è tornata a reprimere brutalmente le proteste nelle strade della capitale. Dopo gli otto morti registrati lo scorso 31 dicembre, a un anno della firma dell’accordo di pace fortemente voluto dalla Comunità episcopale e in larga parte disatteso, anche le manifestazioni anti Kabila indette domenica scorsa dal Collettivo laico di coordinamento sono finite in un massacro: 6 morti e 65 feriti secondo il portavoce della Missione delle Nazioni unite nella Rdc (Monusco), Florence Marchal. Due morti e nove agenti feriti secondo fonti della polizia congolese, che viene accusata di non essersi limitata all’uso di lacrimogeni, arrivando a sparare con proiettili veri sui manifestanti.

Il portavoce dell’organizzazione non governativa Associazione congolese per la giustizia, Georges Kapiamba, denuncia 257 arresti arbitrari tra le file dell’opposizione. In cella sarebbero finiti anche dieci sacerdoti. E 24 esponenti del partito d’opposizione Lotta per il cambiamento (Lucha) arrestati nella regione di Beni.