La polizia in assetto antisommossa ai lati di piazza del Plebiscito per impedire al flash mob di trasformarsi in corteo diretto verso la sede della regione Campania, a Santa Lucia. Nuova protesta a Napoli ieri pomeriggio: davanti Palazzo reale c’era lo spaccato di città che sta scivolando verso la povertà. «Basta spese militari. Se ci chiudi ci paghi» recitava uno degli striscioni. Maria Rosaria gestisce con il marito un bar alla Pignasecca, rione popolare alle spalle di via Toledo. «Senza gli studenti che arrivano con la Cumana e la Circumflegrea, senza i pendolari che lavorano negli uffici è un miracolo se facciamo 100 euro di incasso. Io mi sono dovuta licenziare. Avevamo due baristi, uno l’abbiamo dovuto mandare via, il pomeriggio si mette mio marito dietro il bancone. Dobbiamo chiudere alle 18? non esiste. Abbiamo parlato tra di noi, i 5 o 6 bar che ci sono alla Pignasecca non chiudono. Facciamo disobbedienza civile». Si è presentato anche il generale Pappalardo dei gilet arancioni ma i manifestanti in larga parte lo hanno ignorato.

Da venerdì notte chi va in piazza a Napoli a protestare viene bollato come camorrista oppure come un ingenuo che si fa strumentalizzare dai clan. «Siamo nella capitale europea della disoccupazione – spiega Giovanni Pagano dell’Usb -. Noi sapevamo che scoppiava una bomba sociale, come mai la regione e il governo non lo sapevano? Nessuno chiede perché la gente è esasperata. In una manifestazione come quella di venerdì qualcuno con i precedenti penali si trova sempre ma non è possibile che a Parigi è la rabbia della gente e a Napoli è solo e sempre la camorra. Domenica è arrivato un nuovo dpcm con le stesse promesse di marzo, qualcuno qui aspretta ancora la cassa integrazione di maggio».

Come Federica, che lavora al centro storico in un Cocktail bar: «Iniziamo alle 18 ma si entra nel vivo dalle 22. Su 4 mesi di cig, ne abbiamo incassati solo 2, decurtati del 20% sullo stipendio base e senza mance. Quello che resta è una paga da fame. Con questi nuovi orari si chiude e basta». I bartender si sono presentati in massa: shaker alla mano come maracas, si sono seduti in terra, rigorosamente distanziati, ad agitare i loro strumenti di lavoro per farsi sentire.

Nel cerchio accanto animatori, dj, fotografi, settori spazzati via dalla morte delle feste e delle cerimonie. Nel mezzo il gruppo dei «fantasmi». Mascherati da ectoplasmi si sono presentati i lavorato in nero: «Non esistiamo ma ci siamo» urlano. Alcuni si sono rivolti alla Camera del lavoro di Potere al popolo per ottenere i propri diritti: baristi, rider, commessi pagati a settimana, senza tutele, senza la possibilità di incassare i bonus di governo, regione o comune. Chiuse le scuole di danza: «In Campania ce ne sono circa mille – spiega Angelica -. Parliamo di migliaia di lavoratori, di luoghi dove noi ballerini possiamo allenarci. Un mese di stop per noi equivale a un anno».

«Non vogliamo morire né di fame né di covid» recita un altro striscione. «La città è una polveriera, la vera violenza è vivere il lockdown senza reddito» spiega Eduardo Sorge del Movimento disoccupati 7 Novembre. Ines ha un’osteria a via Santa Chiara, una piccola attività nel cuore dei Decumani: «A marzo come forma di sostegno ci hanno autorizzato ad andare in banca a chiedere soldi ma a noi serve liquidità non debiti. Abbiamo 6 dipendenti, stiamo tutti aspettando la cig di maggio. Avevo 38 coperti, li ho dovuti ridurre a 18. La mia è un’osteria slow food, i nostri fornitori sono contadini a chilometro zero: se non compro vanno in crisi anche loro».

Lavoratori dello spettacolo, gestori di centri sportivi, associazioni Lgbt, la manifestazione cresce e intorno alle 19 decide di forzare il blocco per raggiungere la regione urlando «Dimissioni» e «Libertà». I cori si dividono. C’è chi ritma: «Noi vogliamo lavorare» e chi grida «Reddito per tutti». Quindi parte il comizio: «Dagli chef ai lavapiatti, pizzaioli e camerieri, vogliamo lavorare fino alle 24. Alziamo le serrande, rimaniamo tutti aperti». La parola d’ordine è «Non siamo camorristi». Un assedio pacifico da cui parte la proposta: «Appuntamento tutti i giorni alle 18 alla regione fino a una soluzione che ci faccia campare». La manifestazione si scioglie intorno alle 21 ma un gruppo prosegue sul lungomare, sale la tensione: un ragazzo viene fermato e poi rilasciato, gli altri restano fronteggiati dalla polizia.