«Il reddito di cittadinanza si farà» ha ribadito anche ieri Luigi Di Maio in televisione. Per il vicepremier la trattativa in Europa sul deficit è ancora in corso e a quanto pare ci sarebbe stato solo un errore di calcolo. «Pensavamo si dovessero stanziare più soldi di quelli che servono» ripete alle telecamere di Mattino 5 il leader dei 5 Stelle.

Mentre Di Maio parla, chi dovrebbe rappresentare un tassello importante del reddito di cittadinanza protesta alla sede romana del Cnel. Con un blitz i lavoratori precari dell’Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro che affianca l’attività dei centri per l’impiego regionali) bloccano un convegno sul lavoro organizzato dal presidente Tiziano Treu. «Siamo dei precari con lavori instabili a intermittenza che dovrebbero prendersi cura di altri disoccupati» spiegano una decina di manifestanti rivendicando – a nome di altri 654 lavoratori – la stabilizzazione del loro impiego.

Dopo la protesta i relatori della tavola rotonda, oltre a Treu gli assessori regionali al lavoro di Lazio, Campania, Toscana e Lombardia, riconoscono la necessità di risolvere la contraddizione denunciata dai precari, senza però sapere trovare risposte chiare sul ruolo futuro degli operatori dei centri per l’impiego una volta approvato il reddito di cittadinanza.

Durante il convegno si è parlato della necessità di potenziare gli strumenti tecnologici dei vari centri e di una piattaforma unica (la Blockchain) in cui domanda e offerta dovrebbero incontrarsi. Allo stato attuale, però, l’unica certezza è che il reddito sarà reso operativo attraverso una struttura di lavoratori in gran parte precari (654 su 1.103). Nella legge di bilancio 2019 sono previsti infatti solo 10 milioni di euro per gli oneri di funzionamento dell’Agenzia. «Soldi del tutto insufficienti a stabilizzare i precari», denuncia Christian Sica, operatore Anpal. «A fronte di un’espansione della funzione dei centri per l’impiego non è chiaro il motivo per cui gli investimenti siano così bassi». Anche l’assessore al lavoro del Lazio, Claudio Di Berardino, mette in guardia: «Non vorremmo che questo fosse il segnale di un progressivo indebolimento del servizio pubblico dei centri per l’impiego in favore di soggetti privati», dice.

Di Maio intanto in diretta Tv promette: «Con sette miliardi porteremo a 780 euro gli stipendi di milioni di italiani che si trovano sotto la soglia della povertà relativa». Ma alla domanda sul perché non si possa avere un deficit al tre per cento come in Francia per arrivare magari a un reddito di 900 euro, il ministro sorride e fa spallucce.