Quanto gli studi sulla Rivoluzione francese abbiano inciso sul tempo presente e quanto ne siano stati a loro volta condizionati è un assunto imprescindibile dal quale muovere per rileggere, con utensili nuovi, la storia del decennio che ha cambiato il mondo vieppiù inserita in un’ottica globale sempre meno eurocentrica.
Da questa prospettiva prende le mosse Jeremy D. Popkin il quale nella sua ultima poderosa ricerca, Un nuovo mondo inizia La storia della Rivoluzione francese (traduzione di Alessandro Manna, Einaudi «La Biblioteca», pp. XVIII-687, € 37,00), offre un racconto corale del periodo rivoluzionario, interpretato come laboratorio in cui le potenzialità della politica moderna vengono testate per la prima volta. L’autore, la cui A Short History of the French Revolution ha raggiunto ormai la settima edizione, non si sottrare alla domanda inevitabile sulla necessità di una nuova storia della Rivoluzione francese fornendo una risposta chiara: l’esclusione dalle ricostruzioni dominanti del ruolo delle donne, degli schiavi e dei sudditi coloniali rendono incompleta la storia degli anni che più di altri hanno forgiato il mondo moderno. In effetti ampio spazio è dedicato nel libro sia all’intrecciarsi degli eventi verificatisi nella madrepatria con quelli delle sue propaggini coloniali sia a figure di donna tra loro molto diverse come Olympe de Gouges, Madame Roland, Madame de Staël e la stessa Maria Antonietta. L’influenza delle donne si dipana a partire dal loro protagonismo, durante l’autunno dell’ancien régime, nei disordini causati dalle carestie così come nei salotti alla moda, fino agli albori della Rivoluzione quando il loro potere si esercitò in maniera più diretta. Il peso delle popolane nel condizionare gli eventi rivoluzionari fu così decisivo che la marcia delle donne del 5 ottobre 1789 su Versailles costrinse il re, la regina e la famiglia reale a rientrare a Parigi abbandonando la reggia dove dal Seicento i reali si erano ritirati. Il mesto cammino della carrozza regia scortata dalle energiche e risolute venditrici dei mercati generali (le cosiddette dames de la Halle) indica l’inizio della fine della monarchia in Francia, per lo meno, nella sua forma assoluta.
Quella offerta da Popkin è una ricostruzione che non si limita a riattivare una narrazione maggiormente obliqua rispetto a quella dominante, ma ripercorre le tortuose vicende politiche dalla crisi dell’assolutismo fino all’avvento di Napoleone entrando nel cuore della modernità. L’autore si confronta con temi quali la violenza politica, i diritti di cittadinanza, la libertà di stampa e la nascita delle istituzioni democratiche (solo per indicarne alcuni), aprendo a tematiche e prospettive meno frequentate dalla storiografia come la storia diplomatica, l’espansionismo militare e le ricadute internazionali del terremoto francese. Attraverso una vivida descrizione degli eventi, il volume affronta senza timori il vero paradosso della Rivoluzione francese, talmente macroscopico che spesso viene offuscato: il prezzo altissimo pagato dai francesi per realizzare libertà, uguaglianza e solidarietà. La ghigliottina stessa, ambiguo simbolo della Rivoluzione, rimanda allo stesso tempo alla sua natura umanitaria (una morte senza supplizi) e ugualitaria (utilizzata per tutti indipendentemente dal rango), così come alla sua funzione repressiva.
Un dramma in cui le azioni dei protagonisti hanno a volte conseguenze inaspettate: le cosiddette circostanze spinsero le scelte dei rivoluzionari ben oltre le loro intenzioni e la radicalizzazione di molti avvenne proprio in base alle loro esperienze quotidiane. «La forza delle cose – affermò lapidariamente Saint-Just nel 1794 – ci conduce a risultati ai quali non avevamo pensato». Circostanze isolate che si intrecciano e conducono in direzioni non previste, come la «Grande paura dell’Ottantanove», magistralmente narrata da Georges Lefebvre in un lavoro ormai classico, che comportò ondate di panico, spesso infondato, tra i contadini a causa dei saccheggi perpetrati nelle campagne da briganti al soldo di aristocratici ostili alla Rivoluzione, che portò all’assalto e incendio dei castelli e dei loro archivi. Le conseguenze sul movimento rivoluzionario non si fecero attendere e l’eco delle rivolte portò all’abolizione dei privilegi feudali la notte del 4 agosto 1789, incunabolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Popkin tratteggia con mano sicura, forte di cinquant’anni di studio e d’insegnamento, i profili degli attori che si susseguono sul palcoscenico rivoluzionario: Mirabeau, Danton, Robespierre e un vastissimo numero di comprimari tra i quali emerge l’avventurosa vita del vetraio Jacques-Louis Ménétra e l’eroica epopea di uno studente di diritto, Jean-Marie Goujon. Quest’ultimo personaggio ricopre un grande spazio nel libro e ne indica in una certa misura la cifra interpretativa: giovane giacobino idealista, apostolo della libertà e dell’eguaglianza, fedele ai principî repubblicani anche dopo la caduta di Robespierre, cercò di conciliare i suoi ideali con le esigenze concrete della gente comune. Durante la fatidica giornata del 1° pratile anno III (20 maggio 1795), quando il popolo in armi invase la Convenzione rivendicando «il pane e la costituzione democratica del 1793», sostenne le richieste della folla per evitare un bagno di sangue. Condannato a morte per la sua difesa degli insorti, Goujon si suicidò in carcere a soli 29 anni, lasciando poche righe: «Avevo giurato di difendere la Costituzione dell’anno I e di perire per essa; muoio felice di non aver tradito il mio giuramento».
Dopo il colpo di stato del 1799 iniziò la lunga agonia della repubblica e dei suoi principî di libertà ed eguaglianza ripudiati progressivamente da Napoleone Bonaparte. Dittatore misogino e razzista per alcuni, paladino delle conquiste rivoluzionarie mitigate dal suo ingegno per altri, il Napoleone di Popkin risulta meno manicheo ma non per questo neutrale. Anzi, egli appare non solo come il restauratore, nel 1802, della schiavitù nelle colonie, faticosamente abolita dai giacobini nel 1794, ma come colui che smantellò le istituzioni create dai rivoluzionari e impose un’idea d’Europa a forte egemonia francese ridimensionando in chiave oligarchica gli spazi di partecipazione democratica inaugurarti nell’Ottantanove.
Dal giacobinismo, inteso come espressione radicale e sofisticata della politica moderna sempre in bilico tra idealismo e pragmatismo, passando per l’esperienza del Père Duchêne, personaggio fittizio, antesignano del rancore populista contro le élite corrotte, fino al bonapartismo e alle sue seduzioni plebiscitarie, il volume affronta grandi tematiche politiche alla luce melanconica del presente. E proprio in un momento in cui l’asfissia democratica si manifesta in Europa e negli Stati Uniti, tracciare una genealogia del processo di emancipazione, anche di genere e di razza, può contribuire a rilanciare il progetto incompiuto di una società di liberi e eguali che trova il suo «inizio» con la Rivoluzione francese.