Il Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale compie 61 anni. Mica pochi. E mica scarso il prestigio che ha avuto per tanto tempo, che ha perso, che sta cercando di riguadagnare. Quest’anno è annunciata (29 settembre-8 ottobre) un’edizione con pochi concerti e spettacoli. Povertà di budget? Forse, ma non è detto che la cosa non si risolva in piacere e rilassatezza. Il titolo è Est. In primo piano l’estremo Oriente: Cina, Giappone, Corea del Sud. Vari autori in programma sono nati in quei paesi ma vivono, o hanno vissuto, in Occidente.

 

 

D’altra parte è un dato di fatto che quella definita musica contemporanea si è formata in Occidente, tra Europa e Usa, agli inizi del secolo scorso. Poi scambi e studi in tutto il mondo, poi mondializzazione compiuta. Un compositore cinese riceve il Leone d’oro alla carriera in questa Biennale Musica 2017. Si chiama Tan Dun, vive a New York dal 1986. È molto popolare da quando ha vinto l’Oscar con la colonna sonora del film La tigre e il dragone (2000), da quando ha scritto le musiche per le Olimpiadi di Pechino del 2008, da quando ha composto su commissione di Google una Internet Symphony (2008) che celebrava la fusione Google/Youtube.

 

 

Certo che il direttore artistico Ivan Fedele, il più longevo (in quanto alla carica) nella storia di questa rassegna, ha avuto un notevole coraggio. Sa di sicuro il rischio che corre. Con Tan Dun Leone d’oro i critici puristi sono già schierati col fucile puntato. E il bello è che hanno torto in quanto puristi ma non del tutto torto se si considera la natura del compositore premiato. Come definirlo? Un tardo-pucciniano hollywoodiano orientaleggiante a rischio kitsch? Qualche volta sì, per esempio in The Banquet Concerto (2006) traboccante melassa e retorica. Un pochino nella stessa Tigre. Ma sa affascinare e convincere con opere, pur sempre «impure», tipo Concerto for Water Percussion and Orchestra (1998) ascoltato proprio alla Biennale veneziana nel 2004. Oppure in un lavoro «minimo» per pianoforte preparato, C-A-G-E Fingering for piano (1993) ascoltato di recente al bel festival Ossessioni di Faenza.

 

 

Il 30 settembre prossimo al Teatro alle Tese dell’Arsenale il talentuosissimo Tan Dun dirige personalmente tre opere nuove per l’Italia: Secrets of Wind and Birds (2015), che esibisce un avvio rumoristico-onomatopeico assai spregiudicato, The Tears of Nature (2012) per percussioni (solista Simone Rubino), Concerto for Orchestra (2012) ricavato dall’opera lirica Marco Polo. Ma c’è anche un Leone d’argento da celebrare, come ogni anno. Il 7 ottobre lo riceve Dai Fujikura, giapponese quarantenne da tempo residente a Londra. Davvero molto interessante. Le esperienze delle avanguardie, di vario tipo, le ha fatte proprie e non si gingilla con le tradizioni delle regioni natie. Il suo Concerto per corno n. 2 (2017) viene presentato a Venezia con l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Yoichi Sugiyama. Per la prima volta in versione integrale.

 

 

L’evento forse più importante del festival è in apertura, il 29 settembre. Riservato al sommo Karlheinz Stockhausen con lo sguardo rivolto a Oriente in cerca di una meditazione inquieta. Inori (1973-’74) non si ascolta quasi mai. È musica impressionante, ipnotica, singolarissima. Quanto lo è l’azione scenica che si svolge in parallelo. Il brano è sottotitolato dall’autore preghiera per solista e orchestra. La solista a Venezia è la danzatrice/mima Roberta Gottardi. L’orchestra di Padova e del Veneto è diretta da Marco Angius. Una super-garanzia