Ha suscitato un fiume di polemiche il decimo decreto sull’Ilva varato dal consiglio dei ministri martedì sera. Oltre ad aver rinviato al 30 giugno, per le società interessate, il limite entro il quale presentare le offerte vincolanti, il nuovo provvedimento prevede che «le eventuali proposte di modifica del Piano ambientale avanzate dagli offerenti saranno vagliate preliminarmente a ogni altra componente dell’offerta da un comitato di esperti nominato dal ministro dell’Ambiente, che si esprimerà nel termine di 120 giorni dall’insediamento». Il parere formulato verrà poi comunicato agli offerenti che dovranno provvedere, nel caso in cui sarà previsto, ad adeguare le offerte in base ai rilievi sollevati dal comitato.

Soltanto in un secondo momento verrà effettuata la valutazione delle offerte economiche associate ai piani ambientali «considerati ammissibili», anche grazie a una perizia indipendente. Inoltre, pare che per facilitare il passaggio di consegne e il rilancio, dovrebbe essere prorogato il termine per il rimborso degli 800 milioni di euro destinati alla bonifica. Potrebbe essere infatti modificata la norma attuale, un emendamento al decreto salva Ilva di fine 2015, in base alla quale i finanziamenti statali dovrebbero essere «rimborsati nel medesimo esercizio finanziario in cui sono stati erogati».

In parole povere, il nuovo decreto fa slittare a quest’autunno la vendita o l’affitto degli asset produttivi del gruppo Ilva. Il che ha suscitato malumori tra i sindacati, che hanno immediatamente chiesto un incontro ai commissari straordinari dell’Ilva. Per la Fiom la scelta del governo è «irresponsabile»: la segreteria nazionale teme che tale scelta possa pregiudicare «la vendita del gruppo, che adesso rischia di perdere ulteriori commesse sul mercato e avrà bisogno di ulteriore liquidità». Oltre a temere che il tutto possa mettere «nuovamente in discussione le norme di risanamento previste nel piano ambientale».

Fortemente critiche anche la Fim Cisl, che contesta la scelta di rinviare ancora la vendita del gruppo. «Serve una svolta decisiva nella vicenda Ilva», sostiene la segreteria tarantina, mentre l’Usb locale parla di «ennesima giravolta del governo che non serve a risolvere i problemi». Critiche anche da Legambiente Taranto che non vuole «sconti sul piano ambientale».

In realtà la vicenda Ilva ha strutturato la sua complessità proprio sulle vicende ambientali. E il governo sa bene che il futuro del gruppo si gioca tutto su quel campo. Del resto, è in corso una procedura da parte dell’Ue nei confronti dell’Italia per violazione delle norme ambientali da parte di Ilva; la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha deciso di accettare il ricorso di 152 cittadini, mentre a Taranto è in corso il processo «Ambiente svenduto» sul presunto disastro ambientale e un’altra inchiesta da parte del gip Rosati pende sui commissari Ilva per non aver ottemperato del tutto alle prescrizioni previste dal piano ambientale, anche se vi è lo scudo di una legge del governo del 2015 che prevede l’immunità per i commissari e i direttori dello stabilimento.

Dunque, dare priorità all’ambiente nelle offerte vincolanti per il governo è praticamente un obbligo. E inoltre, vendere un gruppo del genere, non è e non sarà cosa facile. Il nuovo provvedimento, tra l’altro, potrebbe andare in direzione della cordata che potrebbe formarsi tra il gruppo Arvedi (che ha dalla sua anche l’alleanza con Luxottica) e i turchi di Edermir, che andranno a “contrastare” quella formata da Arcerlor Mittal e Marcegaglia che hanno già fatto pervenire ai commissari la loro offerta. Arbitro della partita sarà Cassa Depositi e Prestiti, che reciterà il ruolo di anchor investor nella newco che si andrà a formare.