«Un pretesto», l’idea del pentastellato Luigi Di Maio di chiedere «la calendarizzazione di una proposta di legge popolare al mese, seguendo l’ordine cronologico di presentazione». «Perché non lo ha fatto prima? Altro che nuova idea: il vicepresidente della Camera ha già presentato questa proposta alla conferenza dei capigruppo, ma lo ha fatto per fermare la discussione immediata della legge sull’eutanasia come era stato richiesto dalla presidente Laura Boldrini e da me». Gennaro Migliore, capogruppo di Sel alla Camera proprio non vorrebbe polemizzare con la seconda carica di Montecitorio che nella lettera indirizzata al manifesto e ai presidenti dell’Associazione Luca Coscioni (pubblicata ieri) accoglie l’invito dei Radicali e dei comitati, diretto ai parlamentari, a programmare una sessione straordinaria di lavori per mettere in discussione entro il 2014 le 27 leggi di iniziativa popolare ancora in giacenza.

Polemizzi invece, Migliore…

Non voglio parlare di Di Maio perché mi sembra che come al solito i 5 Stelle celino altro, dietro le questioni di metodo. Di Maio dica piuttosto perché ha problemi, al pari dei Fratelli d’Italia e del Ncd, a discutere la proposta di legge dell’Associazione Coscioni – a cui anche io sono iscritto – sul fine vita e sull’eutanasia legale. Noi vorremmo trattare temi che sono di interesse urgente per il Paese e abbiamo l’ambizione di volerlo fare anche senza seguire criteri burocratici come l’ordine cronologico. E guardi che noi di Sel siamo sempre stati in prima linea per sollecitare le leggi di iniziativa popolare: abbiamo presentato le proposte sul reddito minimo garantito, le Tre leggi sulla giustizia e il carcere, e siamo stati al fianco dei Radicali per dare sostegno all’iniziativa che rafforzasse l’articolo 71 della Costituzione.

Di Maio dice che il M5S non sarebbe neppure nato se la proposta di legge «Parlamento pulito» non fosse stata ignorata dalle Camere. Ha ragione, non crede?

Sicuramente, è uno dei motivi. Ecco perché insisto a dire che il problema sta nella potestà legislativa che si è via via spostata verso l’esecutivo. I partiti complessivamente hanno perso un potere di iniziativa: e infatti anche le leggi proposte dal parlamento hanno una funzione ormai irrisoria rispetto alla mole di decreti e ddl governativi che vengono approvati. Ecco perché invece occorre riformare il regolamento, in modo da rendere esigibile un diritto e favorire l’iter delle proposte di legge di iniziativa popolare, mettendo il parlamento a disposizione dei cittadini. Non a caso, il relatore di questa parte della riforma, dentro la Giunta per il regolamento, è Gianni Melilla di Sel: noi crediamo che vada rafforzata nel complesso l’iniziativa di rappresentanza popolare sia in maniera diretta, con le leggi di iniziativa popolare, sia tenendo fede al principio della democrazia parlamentare.

Entriamo allora nel merito della riforma del regolamento. Secondo il M5S si nasconde nelle sue pieghe il tentativo di restringere ulteriormente lo spazio delle opposizioni parlamentari, mentre Scelta civica crede e chiede esattamente il contrario. Cosa ne pensa Sel?

È sbagliato considerare l’ostruzionismo come un impedimento all’attività parlamentare: esiste in ogni Paese civile. Ma se diventa l’unico strumento o quasi dell’iniziativa parlamentare, e per motivi a volte banali, come fa il M5S, si finisce per svilirlo. Bisogna invece agire con un nuovo regolamento per limitare il ricorso alla decretazione d’urgenza, per esempio con criteri più stretti rispetto all’omogeneità della materia. Deve poi esistere una corsia obbligatoria per i testi di iniziativa parlamentare; bisogna far lavorare di più le commissioni e meno l’Aula che spesso è teatro di posizioni preconcette dove si finisce per spingere solo bottoni. Riguardo le leggi di iniziativa popolare, vanno accolte le richieste dei Radicali: obbligo di audizione dei proponenti e pubblicizzazione del dibattito sull’ammissibilità delle proposte. Anche a costo di innalzare a 100 mila il numero di firme necessarie per l’iniziativa popolare. Si deve intervenire poi anche su l’argomento, non disgiunto, dei referendum, abbassando il quorum di validazione dei quesiti. Perché siamo davanti al paradosso che, nel prossimo modello di legge elettorale, conquista la maggioranza assoluta dei seggi il partito che ottiene il 30% dei voti. Con il 40% di astensione, quindi con meno del 20% degli elettori effettivi, un partito può cambiare qualsiasi legge, mentre il 49,9% dei cittadini che eventualmente si esprime per l’abrogazione di una legge non conta nulla, se il referendum non ha raggiunto il quorum.