Dario Parrini, senatore toscano del Pd e presidente della commissione affari costituzionali, è grande esperto della materia elettorale e come tale in passato ha dato un contributo decisivo all’approvazione di due leggi a effetto maggioritario, il mai applicato Italicum e l’attuale Rosatellum. Oggi ha maturato una riflessione – «anche autocritica», dice lui – e sostiene la necessità di una legge elettorale proporzionale con sbarramento, simile cioè a quella prevista nel testo base che la camera aspetta da molti mesi di esaminare. «Negli ultimi dieci anni – spiega Parrini – il maggioritario è stato adulterato dalla contrapposizione tra coalizioni civetta utili per vincere un premio in seggi ma incapaci di governare. È stato una presa in giro degli elettori».

Il fallimento del maggioritario è davvero un fenomeno degli ultimi dieci anni? O non si è trattato dal principio di un innesto sbagliato, incompatibile con la storia e le caratteristiche del sistema politico italiano? La prima legislatura eletta con il Mattarellum e la prima eletta con il Porcellum sono durate entrambe solo due anni.

Il pluralismo partitico italiano si è rivelato da subito più resistente del previsto al cambiamento delle regole. Certamente ha inciso il fatto di non aver mai avuto un vero maggioritario, completato da idonee riforme della forma di governo, che invece ci sono state a livello comunale e regionale dove con l’elezione diretta il problema dell’instabilità e della frammentazione ha avuto una soluzione efficace e durevole. Ma chi oggi dice che a livello nazionale serve il modello dei sindaci dovrebbe proporre anche l’elezione diretta del capo del governo e la fondamentale clausola del simul stabunt simul cadent per cui in caso di sfiducia o dimissioni del premier si sciolgono le camere. Per fare queste cose bisognerebbe rivoluzionare la seconda parte della Costituzione. Qualcuno pensa davvero che sia possibile affrontare il tema oggi? Via, siamo seri.

Dunque la sua tesi è che il maggioritario in Italia ha fallito perché ne abbiamo avuto troppo poco, perché siamo stati troppo timidi?

La mia tesi è che nessun Paese occidentale avanzato ha mai sperimentato sistemi maggioritari come i tre applicati in Italia dal 1994, basati su premi impliciti o espliciti attribuiti a coalizioni pre-elettorali nate esclusivamente per conseguire quei premi. In Francia, Uk, Canada, Usa e Giappone ci sono sistemi totalmente o prevalentemente maggioritari fondati su una competizione tra partiti, non tra innaturali coalizioni. Questa anomalia italiana è stata spesso trascurata per un eccesso di dogmatismo. Ma sul fallimento delle promesse maggioritarie ha inciso anche un dato di cultura politica profonda che sarebbe sciocco ignorare. Inoltre a partire dal 2013 il nostro sistema politico è entrato in una fase di destabilizzante ridefinizione delle identità di partito che ha mandato in frantumi ogni possibilità di evoluzione del sistema in senso bipartitico. E poi ha spazzato via persino il bipolarismo.

Mentre il testo di riforma proporzionale giace in commissione da mesi, si fanno avanti (anche dal Pd) proposte di ritorno al doppio turno e al premio di maggioranza. Che ne pensa?

Ho riflettuto a lungo sui sistemi a premio esplicito. Certamente sarebbero un male minore rispetto al Rosatellum, ma ritengo che non siano la cosa preferibile oggi. Continuerebbero a far vivere l’artificio delle coalizioni pre elettorali fittizie che ha alimentano frammentazione, instabilità dei governi e trasformismo. Questo del resto avviene quando ci si allea solo per vincere, non per governare. In questo momento di profonda ricomposizione delle identità partitiche la cosa migliore sono i sistemi elettorali proporzionali con sbarramento alto. Servono a ridurre la frammentazione e permettono alle forze politiche di investire sulla propria identità e il proprio radicamento, facendo campagne elettorali per se stesse e non per giustificare gli alleati. Dopo il voto si fanno accordi trasparenti e dettagliati per il governo del Paese. Inoltre, anche se è sbagliato chiedere ai sistemi elettorali di sostituire la politica, con questo metodo proporzionale razionalizzato si favorirebbe, per esempio, un chiarimento nel centrodestra dando più opportunità a chi ha posizioni più responsabili. Costringere i moderati europeisti al matrimonio forzato con i sovranisti radicali non è nell’interesse del Paese.

Proporzionale «razionalizzato» significa una soglia di sbarramento nazionale molto alta e mai sperimentata in Italia, del 5%. Costringere le forze più piccole ma comunque rappresentative a nascondersi dentro altre formazioni come può contribuire a «rigenerare e ridefinire» i partiti? In questa legislatura abbiamo già avuto un bel numero di scissioni. Una soglia troppo alta non rischia di riproporre il corto circuito delle coalizioni?

Una barriera alla frammentazione non può non esserci e dev’essere di tipo europeo. C’è in Germania, al 5%, c’è in Spagna con un altro meccanismo. Sono due Paesi con sistemi proporzionali con sbarramenti importanti che non hanno soffocato nessuno. Né hanno alimentato alcun trasformismo o operazione di facciata. Il proporzionale con soglia alta sarebbe un passo verso i migliori esempi europei. Senza soglia adeguata avremmo un regresso alla fase peggiore della cosiddetta prima Repubblica: nel 1987 entrarono alla Camera 10 partiti più quelli regionali, nel 1992 furono 12. Un marasma. Rischiare il ritorno a una tale polverizzazione parlamentare sarebbe imperdonabile. Sono inoltre indispensabili modifiche regolamentari anti trasmigrazioni e la cancellazione delle liste bloccate.

Lei è favorevole al ritorno integrale delle preferenze?

Io sono favorevole a dare ai cittadini più potere nella selezione degli eletti, oggi la distanza tra eletti ed elettori è troppo ampia e gli eletti sono troppo deresponsabilizzati. I meccanismi per risolvere questo problema sono molti, uno è la doppia preferenza di genere. Ma ce ne sono anche altri e ci sono forme miste. Fissato l’obiettivo, la discussione sui mezzi è da fare senza preconcetti.