Dobbiamo fare come in Germania: questo ripetono i fautori del tanto celebrato «modell Deutschland». Se l’economia teutonica gira, basterà riprodurne il modello e anche noi saremo ricchi. Peccato che le esportazioni e il risibile costo del finanziamento del debito definiscano i contorni di un modello impossibile da riprodurre. Il gioco è a somma zero: se c’è chi vince, c’è necessariamente chi perde.

La Germania, tuttavia, qualcosa da insegnarcelo ce l’ha: esiste un «modello tedesco» che va riprodotto. È il sistema elettorale proporzionale. Concepito in modo tale da fare sì che il cittadino tedesco che si reca oggi alle urne possa votare il partito che meglio lo rappresenta. Senza subire il ricatto – per dirne una – del cosiddetto «voto utile». Addirittura, chi proprio decide di agire «strategicamente» finisce per favorire i partiti minori: esattamente il contrario di quello che capita con l’orrendo Porcellum.

Mettiamoci nei panni (con qualche difficoltà, va da sé) di un elettore genericamente conservatore. Se siamo determinati a fare di tutto perché la coalizione fra democristiani e liberali continui a governare, strategicamente non daremo il voto alla grande Cdu, ma alla piccola Fdp, in modo da aiutarla a superare la soglia di sbarramento. Se decidiamo, invece, di votare «di cuore» il partitone di Merkel, sappiamo che il nostro sostegno renderà comunque più forte la cancelliera: e se dovrà cambiare alleato per governare, pazienza.
Il Parlamento che uscirà dalle urne di oggi rappresenterà la volontà degli elettori, senza distorsioni: non ci sono premi di maggioranza. Si dirà: ma c’è lo sbarramento che taglia fuori le forze minori. È vero. Ma la storia della democrazia tedesca dimostra che l’esistenza di tale soglia non abbia affatto impedito che nuovi movimenti, andati radicandosi in una società che cambia, abbiano potuto fare ingresso in un sistema politico che è blindato solo in apparenza.

È stato così per i Verdi negli anni ’80, per la Pds (poi Linke) negli anni ’90, potrebbe esserlo oggi per gli euroscettici di Alternative für Deutschland. E avrebbe potuto esserlo per i Piraten, se non avessero dissipato il consenso raccolto negli anni scorsi litigando pubblicamente fra di loro come forsennati. I partiti «deboli», ma organizzati democraticamente e convinti della propria ragione di esistere, sono nelle condizioni di diventare attori a pieno titolo della vita politica. E di smettere di essere deboli. Sempre che le regole del gioco non siano scritte a misura delle forze «a vocazione maggioritaria». Come è oggi con il Porcellum e come era ieri con il Mattarellum, un sistema tutt’altro che da rimpiangere. E che non c’entra nulla con quello tedesco.
Fra gli insopportabili luoghi comuni che vanno per la maggiore negli ambienti «democratici» italiani, uno dei più stupidi è quello che vuole che la sera del voto si debba assolutamente sapere «chi ha vinto e chi ha perso». Spesso giustificato con un severo richiamo all’impazienza dei mercati. Guai – si dice – fare le coalizioni dopo il voto: meglio presentarsi agli elettori indossando le camicie di forza di alleanze disomogenee. Ma la politica non è – non dovrebbe essere – una partita di calcio con un trofeo in palio. In una democrazia parlamentare, ciò che davvero importa sapere la sera del voto sono due cose. Che ogni cittadino abbia potuto scegliere liberamente da chi farsi rappresentare, giudicando se il partito votato la volta precedente merita ancora la sua fiducia. E che il Parlamento rifletta fedelmente questa scelta. In Germania si fa così. La prendiamo a modello?