Un investimento economico notevolissimo da parte del Pd: quasi 3 milioni; 400 mila euro soltanto per il del guru Jim Messina. Una strategia mediatica studiata da mesi nel dettaglio. Per la campagna referendaria Matteo Renzi non ha lasciato nulla al caso. Si è parlato persino di una struttura «parallela» insediata direttamente a palazzo Chigi (oggetto di un’interrogazione di Sel) per curare la comunicazione capillarmente sulla rete e sul territorio.

L’esistenza di questa task force è stata negata da Maria Elena Boschi, ma a solo sentirne pronunciare il nome – «La Bestia» – correvano brividi lungo la schiena dei sostenitori del No, impotenti di fronte all’invincibile armata. Senza contare la capacità di «moral suasion» di cui può essere capace un premier nei confronti di dirigenti tv da lui stesso selezionati.
Tutto sotto controllo, dunque? Non si direbbe. «La Bestia» (o chi per lei) sembra scorrazzare a briglia sciolta. Le performance della ministra Boschi scatenano sempre fiumi di polemiche poco propizie alla causa del Sì: l’Anpi messa sullo stesso piano di Casa Pound, la trasferta elettorale in Sud America coinvolgendo le ambasciate. Fino al balletto di ieri («vado», «non vado»), finito con la capitolazione a Matteo Salvini («vado»), nientemeno.

E che dire di Renzi? La personalizzazione, le scuse per aver personalizzato, il tour in Italia corredato di foto che lo immortalano mentre incontra imprenditori, stringe mani a operai, accarezza bambini neanche fosse Kim Jong-un, e scusate se sembra quasi una personalizzazione. Mentre il parlamento è praticamente in ferie. E sul fronte televisivo, la Rai renziana che si avvita nella gaffe (lo spot del fiore all’occhiello subito sfiorito, «Politics», sui supporter del No balbettanti) e subisce le intemerate di Cantone. E gli scivoloni come quello sull’invito di «Radio anch’io» a Gianfranco Pasquino, poi ritirato: semplice modifica della scaltetta, equivoco? Comunque una brutta figura per il premier. E la notizia (riportata dal Fatto) dell’avvio del boicottaggio di La 7 per l’insofferenza mai placata nei confronti di Floris-Giannini. Risultato del diabolico piano: la «buca» di Boschi a Gruber, e poi l’imbarazzata e imbarazzante retromarcia.

Renzi come Berlusconi, dunque? Non proprio. Al pur talentuoso premier mancano le basi: non è a capo di un impero. Il che, tra i tanti vantaggi (vendere solo propaganda non è come «regalare» anche i bellissimi di Rete4 o i successi del Milan, per dire) conta anche quello di suscitare un certo timore reverenziale. Ma per fortuna anche Renzi ha un amico Fedele, Confalonieri. E a Fedele (e soprattutto a Berlusconi) un amico a palazzo Chigi può sempre tornare utile. Allora almeno Mediaset, forse, riuscirà a domare «La Bestia».