«La conquista della Luna è stata anzitutto un colossale colpo propagandistico, il più fantastico spettacolo di circenses che sia mai stato regalato alla plebe dai tempi di Nerone». Firmato: Marcello Cini. Era il 26 luglio 1969. La missione Apollo 11 si era chiusa da nemmeno due giorni, Armstrong, Aldrin e Collins avevano appena iniziato la quarantena contro eventuali batteri lunari e sull’Unità iniziava così il dibattito sull’allunaggio. Cini non era un complottista da quattro soldi, ma riteneva fuori luogo quel clima di trionfo.
Ci voleva coraggio: l’impresa della Nasa era stata festeggiata anche dal Pci. «Con entusiasmo di socialisti, di comunisti, di lavoratori salutiamo oggi gli uomini avviati per i primi sentieri della Luna», aveva scritto il 20 luglio Emilio Sereni. Quell’unanimità solleticava il sarcasmo di Cini: «il miracolo dell’affratellamento universale si è compiuto nel nome del nuovo dio Apollo».
Il giovane professore di fisica della Sapienza era abituato a fare arrabbiare soprattutto chi gli era più vicino. Dal 1968 aveva dato vita a una lettura critica della scienza «non-neutrale», che aveva irritato soprattutto gli intellettuali di sinistra. Anche tra i comunisti, infatti, era diffusa l’idea che lo sviluppo scientifico e tecnologico fosse sempre positivo perché, come aveva ricordato lo stesso Sereni, «l’enorme sviluppo delle forze produttive che le imprese spaziali comportano e promuovono tende a spezzare I’involucro dei vecchi rapporti di produzione».
Cini criticava questa visione deterministica, per cui ogni progresso scientifico è un passo verso la rivoluzione. «È inutile chiedere che l’uomo porti a compimento la redenzione dalla sua servitù e dallo sfruttamento – ironizzava – basta lasciar fare ai ragazzi di Nixon».

INTUIZIONI FULMINANTI
La conquista della Luna non era affatto una buona notizia per il proletariato mondiale: «questo progresso serve solo, prestigio a parte, a rafforzare e sviluppare sul piano militare ed economico il sistema capitalistico nel suo complesso ed in particolare il suo Stato guida». Al suo intervento seguirono repliche e contro-repliche finché a ferragosto Napolitano chiuse il dibattito prendendo le parti di Sereni. L’ultima parola la ebbe però Cini sulle pagine dell’allora mensile Il manifesto in un lungo articolo intitolato Il satellite della Luna (oggi si trova in L’ape e l’architetto, ripubblicato da FrancoAngeli).
Quel pezzo conteneva argomenti che forse apparirebbero datati anche allo stesso Cini. Ad esempio, ridimensionando le ricadute della ricerca spaziale come l’uso dei satelliti artificiali nel monitoraggio dell’atmosfera, Cini scriveva: «la ricchezza dei dati raccolti da reti sempre più elaborate di satelliti rappresenta probabilmente uno spreco rispetto alle possibilità della loro interpretazione. Lasciamo stare infine la possibilità di controllo pianificato del clima, che è certamente nel regno della fantascienza».
Nel 1969 nessuno avrebbe potuto immaginare la crisi climatica a cui ci stavamo avviando: se oggi ce ne siamo accorti, è stato anche grazie alle osservazioni satellitari.
Dal cielo osserviamo l’evoluzione delle zone ghiacciate della Terra, il buco dell’ozono, l’estensione delle foreste, l’inquinamento dell’atmosfera. Inoltre, il «controllo pianificato del clima» è uno degli obiettivi più rilevanti per la sinistra attuale e oggi vedrebbe Cini in prima linea. L’alternativa si chiama «business as usual»: lo scenario più catastrofico per i climatologi preoccupati e più desiderabile per Trump e la lobby dei combustibili fossili.
Accanto a questi argomenti difficilmente riproducibili, Cini però proponeva intuizioni fulminanti. Ad esempio, chiariva la differenza tra la critica allo scientismo e il luddismo o, peggio, l’oscurantismo. Sono le accuse tipiche rivolte a chi vuole mettere in discussione le ricadute delle scoperte scientifiche.

SCIENZA NON NEUTRALE
Oggi come allora, anche presso gli intellettuali di sinistra prevale una visione dell’attività di ricerca come di una disinteressata e lineare accumulazione di conoscenze sull’universo che ci circonda. Ma «la scienza non è solo soluzione di problemi che si incontrano casualmente per la strada», scriveva Marcello Cini nel 1969. «È un processo in cui posizione e formulazione di problemi nuovi procedono di pari passo con la loro soluzione. Nella fase della scelta e della posizione dei problemi, i rapporti di produzione capitalistici giocano un ruolo tanto più determinante quanto più ingenti sono gli investimenti in uomini e mezzi necessari».
Dunque, sostenere la non-neutralità della scienza non significa negare la validità delle scoperte scientifiche o, peggio ancora, sostenere teorie «alternative» (come fa chi nega l’allunaggio e il riscaldamento climatico o chi sostiene le biowashball): la non-neutralità si osserva nella scelta dei problemi che la scienza affronta, non nella loro soluzione.

VERSO L’OGGI
In quel dibattito si approfondì il solco culturale tra l’ortodossia e l’«eresia» da cui nacque il giornale che state leggendo oggi. Roba vecchia? Può darsi. Oggi il lettore, sfogliando quel numero dell’Unità (lo si trova ancora in rete) forse salterebbe il pezzo di Cini, ritenendo eccessivo il paragone tra scienza e propaganda. Ma alla pagina seguente troverebbe un articolo sui progetti futuri della Nasa, con un titolo a suo modo profetico: «Euforia negli Usa: entro un anno, uomini su Marte». Magari tornerebbe a leggere Cini. E il manifesto.