Il governo cerca la quadra sul lavoro: ad accendere gli animi, e a dividere ancora una volta la maggioranza, è la questione dei contratti a termine: da «liberalizzare», secondo il Pdl e la Confindustria, togliendo la causale per rinnovi fino a 36 mesi (oggi ci si limita ai primi 12), mentre i sindacati restano sostanzialmente contrari, soprattutto la Cgil, e insieme a questi il Pd. Una nuova «gatta a pelare» che il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, tenterà di risolvere oggi, avendo convocato le parti sociali per fare un punto.

I nuovi contratti si dovrebbero chiamare «Expo», perché il pretesto addotto dal Pdl e dalla Confindustria è appunto la necessità di cogliere il volano di sviluppo dell’Expo 2015 per creare più lavoro e incentivare le imprese (diminuendo i paletti e i vincoli) ad assumere, perlomeno a tempo determinato. Così la proposta di Confindustria è che i nuovi contratti valgano almeno per tutta la manifestazione e poco dopo la sua chiusura, addirittura a coprire l’intero 2016 (d’altronde, se si tratta di tre anni di contratto, iniziando dal 2013 in poi, non si può che arrivare almeno a quella data). Facile prevedere però che, al di là delle intenzioni dichiarate, il «contratto Expo» sia pronto a diventare un esperimento in cerca di conferma.

«Sono favorevole a una sperimentazione, a privilegiare il più possibile i contratti flessibili “buoni”, i contratti a termine, rispetto a quelli “cattivi” come le “false” partite Iva – ha detto ieri il ministro Giovannini,descrivendo le sue intenzioni sulla riforma – Ma non può essere un intervento di deroga generalizzata senza razionalità».
Dall’altro lato, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ha cercato di anticipare i paletti che porrà il sindacato non solo alle intenzioni di Giovannini, quanto piuttosto e soprattutto ai desiderata di Pdl e imprese: «L’Expo 2015 porterà senza dubbio nuovi posti di lavoro e servirà un accordo per governare il periodo dell’Expo – ha detto Camusso – ma non è sopportabile che si approfitti di un evento straordinario per deregolare il sistema». Insomma, i sindacati sarebbero pronti a “flessibilizzare” – e quindi a firmare un accordo – ma non a “deregolare”, cioè non firmerebbero tutto. «Siamo per distinguere tra una discussione – ha poi aggiunto – e un accordo per governare il periodo dell’Expo attraverso percorsi che sul piano legislativo diano certezze e non incertezze ai lavoratori. Non si affrontano i temi della disoccupazione attraverso il continuare ad alimentare forme di flessibilità.. Siamo un Paese che ha una altissima precarietà, ciò non toglie che questo diventi uno degli elementi di debolezza del sistema dei servizi».

Diametralmente opposta, ovviamente, la posizione di Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria «Quelle dei sindacati – ha detto – mi sembrano posizioni preconcette. Questo è un Paese che non può andare avanti sullo status quo: deve cambiare sciogliendo alcuni nodi perché se non acquistiamo competitività saremo condannati al declino. Le facilitazioni chieste per l’Expo sono state bloccate da una delle componenti che sostengono questo governo e una delle parti sociali si è espressa in modo estremamente negativo – chiaro il riferimento a Pd e Cgil – Dico sempre che siamo tutti sulla stessa barca e che dobbiamo remare tutti nella stessa direzione. Susanna Camusso mi ha replicato che noi vogliamo sempre stare sulla tolda e loro sotto a remare. Non è vero: anche gli industriali remano come i lavoratori. Non c’è alcuna distinzione tra chi rema e chi sta al timone: l’obiettivo comune è tornare a crescere e creare lavoro».

Il presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, dice chiaramente che se non si raggiungerà un accordo, governo e Parlamento dovranno agire da soli: «Se imprese e sindacati non raggiungeranno un’intesa per un avviso comune sui nuovi contratti a termine in vista di Expo 2015 – spiega – toccherà a Parlamento e governo decidere affinché le misure siano a disposizione dopo l’estate».