Ai trenta gradi di questo 5 maggio romano “La buona scuola” di Renzi e Gelmini – «Ei fu» – si scioglie come neve al sole e diventa «la buona sòla». Surclassata dallo slogan – finalmente efficace – scelto dai sindacati: “L’unione fa la scuola”. Se il modello della riforma governativa è l’uomo solo al comando – il dirigente scolastico a cui vanno tutti i poteri – la risposta di piazza del Popolo è «corale»: mettere assieme tutte le categorie che portano avanti – e nonostante tutto – la disastrata scuola italiana giorno dopo giorno: insegnanti, precari di ogni sigla inventata dai vari governi, personale Ata, tanti studenti, tante famiglie. «La nostra squadra», la definisce Barbara. Mamma di Emma, 9 anni, e di Beatrice, 7 anni, che sorreggono lo striscione della loro scuola – l’istituto comprensivo Largo Oriani di Roma – assieme alle loro insegnanti, Monica e Simona. Sfilano così, scendendo dal Pincio in un susseguirsi di striscioni d’istituto e slogan: «Sono un’insegnante e dopo “la buona scuola” non voto più Pd» è il più efficace.

La ministra Giannini li bolla come «disinformati» sulla riforma. Non lo paiono proprio. Citano a memoria articoli, commi e possibili emendamenti. Nessuno li soddisfa. La richiesta, sintetizzata dagli interventi sul palco, è una sola: «fare un decreto per le assunzioni che sennò sono impossibili per l’inizio del prossimo anno scolastico, superando tutto il precariato» e «riscrivere completamente il disegno di legge: prevedendo risorse vere e certe per l’autonomia, e non per le paritarie», «riducendo il potere dei dirigenti scolastici su carriere e offerta formativa, ridando spazio alla collegialità che è la vera arma della scuola pubblica, da Bolzano a Palermo».

Sul palco l’unità sindacale ritrovata fra confederali – Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola – e autonomi di Snals e Gilda non permette a Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo (Anna Maria Furlan è a Milano) di parlare alla piazza. Lo fanno però con i giornalisti: «Si trasforma la scuola in una scuola che vale solo per quelli che hanno condizioni agiate, mentre il grande tema è una scuola pubblica che contrasti la dispersione», attacca Susanna Camusso. Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario generale della Uil Carmine Barbagallo: «La scuola italiana non ha bisogno di podestà, ha bisogno di una scuola pubblica, libera e democratica. Questa è la più grande manifestazione che la scuola abbia mai fatto a dimostrazione che c’è un ministro che non capisce nulla», ricordando che la nostra scuola «è ultima in Europa per investimenti».

È toccato dunque al segretario generale della Flc Cgil Domenico Pantaleo chiudere la manifestazione e promettere «battaglia». «La ministra Giannini ha parlato degli insegnanti di Bologna che l’hanno contestata come di squadristi e ancora stamattina di tutti gli insegnanti come privilegiati. Ecco, se la ministra ha questa idea della scuola italiana, ebbene si dimetta», attacca ad inizio comizio. Non meno duro col sottosegretario Pd Davide Faraone – il più fischiato dalla piazza – che aveva bollato come «minoranza» chi era in piazza: «Ci conti uno a uno e quando vedrà che siamo la maggioranza, ci chieda scusa». «Noi scioperiamo perché non ne possiamo più di vedere la scuola pubblica umiliata. Non siamo corporativi, in realtà portiamo avanti l’interesse generale di insegnanti, genitori e studenti, i tanti che sono in piazza con noi oggi. Gli unici a cui piace la riforma invece sono le imprese e una parte dei dirigenti scolastici. Se il governo – chiude Pantaleo – pensa di assorbire la nostra protesta con piccoli emendamenti si sbaglia di grosso. Il problema più grosso è il gioco delle tre carte sulle risorse: il governo dice che stanzia miliardi ma nel Def c’è scritto che la spesa in istruzione nei prossimi anni diminuirà». «Per tutte queste ragioni – chiude Pantaleo – la nostra battaglia andrà avanti, senza escludere di bloccare gli scrutini di fine anno». Sarebbe la prima volta. Ma dalla piazza arriva un grande applauso.