È prevista per oggi la firma in calce alla Carta di Napoli, il documento che indicherà la strada da seguire per la tutela del Mediterraneo da parte dei 21 paesi (distribuiti tra Europa, Africa e Medio Oriente) più l’Ue che aderiscono alla Convenzione Onu di Barcellona, riuniti in città per la Cop21. Si tratta dell’atto che sancisce l’inizio delle presidenza italiana per i prossimi due anni. Ieri c’è stato l’incontro interministeriale decisivo per fissare l’asticella degli obiettivi da raggiungere.

«Dobbiamo proteggere il Mediterraneo dall’inquinamento e rendere sostenibili le attività economiche – ha spiegato il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa -. Noi chiediamo di avere coraggio, di tracciare date certe e modalità rispetto agli impegni che si assume ogni Paese su marine litter, inquinamento, biodiversità, aree marine protette e blue economy». Due i nodi sul tavolo: il marine litter con l’esigenza di arrivare alla progressiva scomparsa della plastica monouso dalle acque e la riduzione delle emissioni di zolfo da parte delle grandi navi, introducendo la zona Seca (attesa da anni). Il via libera ufficiale all’accordo è arrivato ieri pomeriggio, per ottenerlo è stato necessario un compromesso: obiettivi certi ma con più tempo per raggiungerli.

«Il Mediterraneo è uno dei mari più piccoli ma con l’8% di biodiversità del mondo – ha spiegato Costa in mattinata -. Un mare dove si affacciano oltre 500 milioni di cittadini con un’economica che coinvolge altri 500 milioni di persone. Dobbiamo lavorare alla tutela delle aree marine protette nazionali e l’istituzione di aree transnazionali. All’abbassamento, con una road map precisa, delle emissioni di zolfo delle imbarcazioni di grande tonnellaggio».

Costa ha un tavolo di confronto in corso con Confitarma, l’associazione dei grandi armatori, disponibili a un percorso green. Ma Stati come Turchia, Malta, Grecia, Siria, Libia hanno fatto resistenza. Per superare lo stallo è entrata in campo l’Ue offrendo linee di finanziamento per accettare l’istituzione della zona Seca, già presente ad esempio nel Mar Baltico. «Una sofferenza economica o di altro genere di un Paese verrà sostenuta dall’Unione Europea», ha spiegato il ministro.

Costa ha ricordato il dl Clima e la legge Salvamare, in via di approvazione in parlamento: i due testi prevedono il taglio drastico della plastica monouso e la pulizia delle acque. L’idea è creare una flotta transazionale per eliminare l’inquinamento in una economia mediterranea che tenda a tagliare a monte la produzione di rifiuti. Oggi la Cop21 proseguirà: dopo la firma della Carta ci sarà la riunione tecnica per stabilire entità del fondo economico e redistribuzione delle quote da versa da parte degli Stati.

Il Wwf ieri mattina ha organizzato un sit-in di protesta a piazza Municipio esponendo lo striscione «Proteggere la natura e le persone» per sottolineare l’urgenza di iniziative per contrastare il climate change. Greenpeace ha diffuso il rapporto «Mare caldo», redatto con l’università di Genova: «Nel Mediterraneo, bacino semi-chiuso, le conseguenze dei cambiamenti climatici sono evidenti – ha spiegato Giorgia Monti, responsabile Mare di Greenpeace -. Si stima che in Italia le temperature superficiali siano aumentate di circa 2 gradi negli ultimi 50 anni, l’innalzamento medio annuo del livello del mare è stato di circa 2,4 millimetri negli ultimi 20 anni. Il riscaldamento, l’acidificazione e la perdita di ossigeno stanno iniziando ad avere gravissimi impatti sulla biodiversità marina».

Greenpeace e l’università ligure hanno una stazione pilota per la misurazione delle temperature del mare vicino la costa dell’Isola d’Elba: «Ce ne sono solo altre tre in Italia, bisogna ampliare la rete». E infine concludono: «L’ecosistema marino è già duramente colpito dalle attività antropiche, dalle trivelle, dalla pesca eccessiva e dall’inquinamento. I governi devono mettere in atto subito misure concrete. Da anni Greenpeace spinge per la creazione di una rete di Santuari marini internazionali ma nel Mediterraneo c’è solo il Santuario dei Cetacei, un’area compresa tra Francia, Principato di Monaco e Italia, rimasta purtroppo protetta solo sulla carta, priva di efficaci misure di tutela».