In un clima di tensione, euforia e costanti richieste di verifiche sul sistema elettronico di voto per il timore di brogli si è arrivati al fatidico electoral day nane nane (otto/otto). Oggi 8 agosto si voterà per eleggere il presidente della Repubblica, i rappresentanti di camera e senato e i governatori locali, ma il contesto più critico riguarda la massima carica dello Stato.

I DUE CONTENDENTI PRINCIPALI sono Uhuru Kenyatta, presidente in carica, per Jubilee Alliance e Raila Odinga per il Nasa (National Super Alliance): da mesi vicinissimi nei sondaggi, si sono affrontati senza esclusione di colpi (e promesse) in una serie lunghissima di comizi che sono un misto tra un concerto, un tifo da stadio organizzato e una love parade. Per Raila Odinga è probabilmente l’ultima possibilità di coronare il sogno di una vita perché ha 72 anni ed è improbabile un suo impegno nel 2022, mentre per Kenyatta si tratterebbe di un secondo mandato «necessario per finire il lavoro iniziato».

La preoccupazione è palpabile: chi può è andato fuori dalle città, ritenute insicure, gli altri hanno fatto scorte alimentari e si preparano a non uscire di casa per i prossimi giorni e tra chi resta negli slums, per esempio a Korogocho, cresce l’accaparramento di armi in modo da essere «pronti per ogni evenienza».

IN QUESTO CLIMA è arrivato il brutale assassinio, il 28 luglio scorso, di Chris Musando, manager della commissione che gestisce il processo di voto elettronico, ritenuto cruciale per garantire elezioni libere e trasparenti. In ogni seggio elettorale sono previsti tablet (in totale 45mila) in grado di eseguire l’identificazione biometrica degli elettori. I rappresentanti del Nasa temono il controllo di internet da parte del governo e hanno previsto in caso di blocco dei social la possibilità di attivare dei server in Russia. Inoltre, per evitare che i propri rappresentanti di seggio possano essere corrotti o subire minacce, comunicheranno loro la sede di voto solo il giorno stesso delle elezioni.

KENYATTA E ODINGA hanno stretto accordi con i leader delle diverse tribù promettendo spesso quello che non si può dare e il prezzo da pagare in caso di vittoria sarà molto complicato da saldare, perché la politica è capacità di sintesi tra istanze (e interessi) differenti, ma è contemporaneamente scelta di cosa far prevalere: le priorità non sono convergenti.

Il presidente ha costruito tutta la campagna elettorale sul «fare», ukweli wa mambo (lasciamo parlare i fatti) e ha dalla sua una serie di nuove infrastrutture stradali, elettriche e ferroviarie nonché la digitalizzazione della pubblica amministrazione, che ha facilitato l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. Ma ha fallito nella lotta alla corruzione e nella crescita dei posti di lavoro, specialmente per i giovani.

RAILA ODINGA si è proposto come Giosuè che avrebbe portato il popolo liberato alla salvezza: «Vi porterò a Canaan nella terra dove scorrono latte e miele, farò un solo mandato, solo per portarvi a Canaan, poi vi saluterò». Il suo hashtag più diffuso è stato #ReadyForCanaan. Ma come spiega Emmanuel, un vecchio abitante di Korogocho, «qui scorrevano già latte e miele e bastavano per tutti, ma non per l’ingordigia di chi è stato al potere negli ultimi 200 anni: il potere, dopo tutto, è potere. Invade. È la sua natura. Invade la nostra vita».

[do action=”quote” autore=”Raila Odinga”]«Vi porterò a Canaan nella terra dove scorrono latte e miele, farò un solo mandato, solo per portarvi a Canaan, poi vi saluterò»[/do]

 

OGNI AREA È UN ENCLAVE e se c’è un feudo cè anche un feudatario. Quello che in occidente si dà per scontato nelle istituzioni politiche – la loro stabilità, la separazione tra istituzioni e singoli funzionari, e la loro natura generalmente interattiva è quasi sconosciuto in Kenya. Quando si discute con i giovani per le strade di Kibera (baraccopoli di 500 mila abitanti feudo di Raila Odinga) si parla in continuazione di brogli ancora prima che il voto avvenga. Ma Peter e Sara, che qui lavorano come educatori, vanno oltre: «Se vince il Nasa il voto è stato corretto, se vince Jubilee è perché hanno truccato le elezioni».

INTANTO PER LE STRADE si è diffuso un nuovo modo di salutare, tano tena, «ancora cinque»: ancora cinque anni al governo. Ogni uchaguzi (elezione), racconta il responsabile progetti per bambini di strada Bonny, sembra che siamo di fronte alla fine del mondo. Gli appelli alla pace dei vari leader risultano piuttosto velleitari, infatti, mentre parlano di pace continuano a ripetere che il Kenya brucerà se le elezioni non si svolgeranno in modo corretto e libero: episodi di violenza si sono già verificati a Bungoma, Migori, Mathare, Meru, Lamu, Murang’a e Baringo. Sabato 5 agosto un parlamentare nella zona di Kariobangi ha iniziato a distribuire soldi, si è creata una ressa consistente e così la guardia del corpo, per alleggerire la pressione della folla, ha sparato uccidendo accidentalmente un bambino di 5 anni.

SI CONTINUA A RIPETERE che le elezioni del 2013 sono state rubate dopo che la Corte Suprema ne ha confermato la validità. E qui arriviamo a un aspetto centrale delle democrazie presidenziali, il venire meno di un’istituzione di garanzia come la presidenza della Repubblica. Con il presidente nella mischia resta solo la magistratura, ma qui non basta, la gente non si fida. Si continua a ripetere Punda amechoka («l’asino è stanco»), la gente è stanca, il costo della vita è cresciuto e i salari sono rimasti fermi.

Si invoca il cambiamento, ma solo come un processo per sedurre, forzare o corrompere la popolazione: «Finora abbiamo vissuto solo mangiando la nostra saliva, ora tocca a noi mangiare la carne» ha detto Isaac Ruto, governatore della contea di Bomet.

Non c’è quella crescita della consapevolezza che permette di passare da sudditi a cittadini. Poi se non mangi da giorni (la distinzione tra «colazione», «pranzo» e «cena» è priva di significato per milioni di persone), se l’affitto è in arretrato, se la scuola ti ha rimandato il figlio a casa perché senza libri questo tipo di libertà è impossibile, infatti si dice che «la pancia vuota non sente ragioni».

SE LE ELEZIONI saranno pacifiche sarà un successo non solo per il Kenya, ma per l’economia e la stabilità politica di tutto l’est Africa. Ma, come spiega il giornalista Onyango, siamo in un vacuum e dobbiamo sperare che il diavolo non decida di riempirlo. E mentre la rumba congolese preannuncia l’ultimo rally elettorale tutti si preparano al nane nane, l’8/8. La sfiducia non passerà, quale che sia l’esito delle elezioni: siasa mbaya, maisha mbaya, «cattiva politica, brutta vita». La seconda ukombozi («liberazione») dei keniani è sempre più lontana.