Non è finita: due anni e due mesi dopo la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e le traversie che hanno accompagnato le ipotesi per il rilancio industriale dell’area, Fiom e Uilm chiedono che il governo nazionale s’intesti la vertenza e convinca la Fiat a rivedere le proprie scelte sullo stabilimento siciliano. I circa 1.200 operai della fabbrica e dell’indotto, in cig in deroga fino a giugno, pronunciano con chiarezza la parola «riapertura».

Ieri a Termini Imerese sono tornate le barricate: cortei e blocchi dell’autostrada e presidi dentro la stazione di Fiumetorto, snodo dove la linea ferrata lascia la costa per addentrasi nell’entroterra dell’isola. Un luogo simbolico, dove il concetto dello sviluppo si ferma e i treni cominciano a viaggiare a passo d’uomo. La stessa lentezza con cui le istituzioni lavorano all’infrastrutturazione dell’area industriale di Termini Imerese, dove dei circa 350 milioni di euro per la riqualificazione del territorio e la ripresa produttiva, stanziati tre anni fa, prima che la Fiat chiudesse, ne sono stati spesi soltanto 7, come sottolinea il sindaco Salvatore Burrafato, schierato a fianco degli operai.

Nel piazzale davanti alla fabbrica sono stati montati due gazebo, che rappresentano i pochi segnali di vita in un’area trasformata in deserto. Dallo stabilimento gli operai, dopo un’assemblea estemporanea, si sono diretti verso l’autostrada Palermo-Catania (rimasta bloccata per ore nei due sensi di marcia) e verso la stazione. «Siamo ancora dipendenti della Fiat, il governo Letta deve fare di tutto per spingere il gruppo ad assumersi le proprie responsabilità rivedendo le scelte operate finora in Sicilia – dice il segretario provinciale della Uilm di Palermo, Vincenzo Comella -, dal momento che la Fiat è diventata il quarto produttore mondiale di automobili, acquisendo anche la Chrysler». Gli fa eco il segretario provinciale della Fiom di Palermo Roberto Mastrosimone, che avverte: «Senza un intervento dal 15 aprile sia la Fiat che le aziende dell’indotto potrebbero avviare le procedure di licenziamento collettivo. Lo stabilimento va riattivato e non è necessario portare nuovi modelli, si potrebbe ripartire con la produzione della componentistica».

Le parole di sindacati e operai non fanno breccia nel «fortino» della Regione siciliana, dove in queste ore i politici sono impegnati nell’approvazione della legge di stabilità, che deve fare i conti con un’altra bomba sociale pronta a esplodere: i 24 mila precari degli enti locali siciliani, che da un quarto di secolo aspettano un lavoro fisso e intanto si trovano senza un contratto, scaduto il 31 dicembre. Intanto, le prime vittime della crisi Fiat hanno nomi e cognomi: i 174 licenziati da inizio anno in due fabbriche dell’indotto.

Mentre i politici cercano di far quadrare i conti, solo il prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, ascolta il grido degli operai e per oggi, alle 10, ha convocato un incontro in prefettura, invitando i rappresentanti dei metalmeccanici. Ma la protesta non si ferma, e anche oggi gli operai saranno in piazza.