Su come sia nata la bomba atomica molte sono le versioni fornite sia dai protagonisti, sia dagli storici. E forse anche sul Progetto Manhattan, cuore nevralgico della primogenitura americana sulla bomba atomica.

Sul versante però della storia parallela, il nuovo lavoro di Jonathan Hickman, Manhattan Projects (Panini comics, pp. 144, euro 14), si impone non solo sul piano fumettistico ma più in generale nelle narrazioni sul potere distorto della scienza, con una forza visionaria ragguardevole.

Dal punto di vista storico di un rafforzamento delle ricerche attorno alla forza distruttrice dell’atomo negli Stati uniti già ci si inizia a muovere attorno al 1939. E quando i giapponesi attaccano Pearl Harbor e sono costretti a entrare in guerra, l’impulso dato alla ricerca scientifica riceve un propellente decisivo.

Arriviamo così all’estate del 1942 con la creazione del Progetto Manhattan, chiamato così perché il quartier generale è situato in un palazzo, ovviamente sotto copertura, a New York. Lì sotto la direzione di Robert Oppeneimer si riuniscono gli scienziati che su impulso diretto di Roosevelt si mettono a indagare in profondità la possibilità di un ordigno atomico, esistono molte suggestioni.

Il Manhattan Projects di Hickman però inizia altrove, nei laboratori di Los Alamos, dove ci sono molti tra i nomi più famosi (almeno al pubblico non specialistico) della fisica del primo novecento. Ovvero Robert Oppeneimer, il capo progetto, Enrico Fermi, Werner Von Braun e anche il più famoso e proverbiale di tutti, Albert Einstein. Il quale è un po’ emarginato dal gruppo, fissa una sorta di monolite, di porta posta al centro del suo laboratorio. Attorno a lui le ricerche fremono perché siamo nel 1945, la guerra con i tedeschi è praticamente conclusa ma quella con i giapponesi ancora no. Anzi la loro resistenza, la loro fedeltà all’imperatore, potrebbe protrarre il conflitto ancora molto più in là.

Le condizioni di Franklin Delano Roosevelt peggiorano a vista d’occhio e sia Oppeneimer che il capo progetto, il colonnello Leslie Groves, sono preoccupati per l’esito di un progetto che si sta estendendo sempre di più, sia in termini di costi, sia per la grandezza dell’equipe.

La sensazione che ci viene restituita sin dalle prime pagine di questo primo volume intitolato non a caso «Scienza cattiva», è di un’indagine che ha valicato troppo facilmente le colonne d’Ercole della morale e ora prosegue per conto suo. Un processo divenuto difficile da arrestare, in cui tutti sono coinvolti ma nessuno ha una paternità esclusiva. A un certo punto i propositi iniziali si sono iniziati a distorcere e il cervello di queste menti eccelse, sublimi, del novecento ha pericolosamente iniziato a girare per conto suo, sganciandosi dalla morale, da un senso di bene comune.

Le tavole disegnate da Nick Pitarra d’altronde ci restituiscono appieno questa situazione diventata innaturale, drogata, con queste tonalità di rosso e blu saturate fino a diventare inumane, come quei due feti che ci raccontano la diversa evoluzione dei fratelli Oppeneimer, destinati poi a confluire in un modo mostruoso e insano uno nell’altro.

Ogni episodio è contrappuntato dalle osservazioni di Richard Feynman, il grande fisico e premio Nobel, noto anche come grande divulgatore per i suoi libri (Sei pezzi facili, Il senso delle cose, Sei pezzi meno facili) pubblicati in Italia da Adelphi. Feynman è uno dei più giovani fisici ammessi al progetto Manhattan e nella realtà sarà l’unico a vedere l’esplosione di Trinity, la prima bomba atomica.

I suoi contrappunti costanti ci restituiscono il senso di continua alterazione che abita le menti di Oppeneimer, Von Braun e gli altri. Verso dove sta andando questo consesso di cervelli che l’umanità mai prima di allora si è potuta permettere di riunire nelle stesse stanze di laboratorio?

Johnathan Hickman, classe 1972, è uno dei disegnatori americani più interessanti della sua generazione e qui ha certamente toccato uno dei momenti più stimolanti e inquietanti del proprio universo creativo. Dando vita a un mondo impazzito, deregolato, folle, schizoide. Nel momento in cui si coscientemente ci si è spinti tanto in là della ricerca di un armamento definitivo tutto il resto diventa purtroppo tristemente consequenziale, perfino gettare la bomba atomica, nonostante non ci sia più Roosevelt e Truman esprima al telefono un ordine di non buttare la bomba che viene disatteso.

E proprio il presidente Roosevelt o quello che ne resta dopo la morte viene fatto oggetto di un esperimento che lo vedrà tornare sotto forme mostruose, asservito a quelle idee malsane di predominio indiscriminato attraverso la paura e la minaccia costante.

Questo primo volume di Manhattan Projects ci rievoca calandoli in un universo delirante, sovraeccitato, i giorni drammatici in cui fu concepita e sganciata l’atomica su Hiroshima. E un tassello per forza di cose genealogico, intriso di quel patto faustiano tra l’intelligenza che cerca di forzare i propri limiti ed oscure entità che si permettono di interagire con questo lato oscuro degli esseri umani.

Molte volte questo progetto, situato per ironia del destino nel luogo simbolo dei romantici newyorchesi alla Woody Allen, è stato citato nella cultura pop, sia dentro che fuori il mondo dei fumetti. In Watchmen di Alan Moore il Dottor Manhattan è un personaggio in grado di neutralizzare le bombe atomiche nemiche, dunque una sorta di forza buona, neutralizzante e non di attacco in dotazione agli Stati uniti. Un uomo divenuto con la sua carne radioattiva ricresciuta dopo un incredibile incidente in un laboratorio l’elemento tattico fondamentale per assicurare agli americani la superiorità strategica contro l’Unione sovietica negli anni della guerra fredda.

Manhattan Projects è la ricodificazione di un incubo vecchio quanto il nostro immaginario che volenti o nolenti affonda le sue radici e i suoi rimossi proprio negli anni della seconda guerra mondiale. Supereroi non ce ne sono, mostri si.