«Secondo me si risolve in un dramma». Dalle parti di palazzo d’Accursio non sono molto fiduciosi in merito al progetto della nuova stazione ferroviaria dell’archistar giapponese Arata Isozaki. Anzi, c’è chi si lascia scappare un lapidario: «Sicuro che entro al fine del mandato (2016, ndr) non la portiamo a casa».

Nell’ottobre scorso, inaugurando a Bologna la fiera delle tecnologie per le grandi opere, il numero uno di Ferrovie Mauro Moretti aveva gelato il sindaco Virginio Merola e l’intera città: «Se non riparte il mercato immobiliare, i soldi per fare la stazione di Isozaki non ce li abbiamo».

Vista con il senno di poi, la dichiarazione di Moretti assomiglia tanto a un’azione di pressione. Un mese dopo, infatti, è arrivato l’annuncio che un’area di proprietà delle ferrovie, l’Ambito Ravone, che si estende nella prima periferia a nord ovest del centro, sarebbe stata inserita in uno studio di fattibilità per la successiva immissione sul mercato.

Il Programma Unitario di Valorizzazione Territoriale (Puvat) attivato da Agenzia del Demanio e Comune di Bologna prevede la vendita di proprietà (ex caserme, scali ferroviari) da lungo tempo inutilizzate e tutte a poca distanza dal centro città, subito fuori la cerchia delle mura. Aree che un tempo, quando l’edilizia tirava, erano molto appetibili. Ora, però, è tutta un’altra storia: la crisi a Bologna ha picchiato duro e segni di ripresa vera non si vedono. Per capire: nel 2006 le compravendite nel residenziale si aggiravano intorno alle 6.000 unità all’anno; lo scorso anno, ci si è attestati sulle 3.500. Per il commerciale e il produttivo la situazione è ancora peggiore.

È proprio dalla vendita dell’Ambito Ravone e di altre aree che Moretti pensava di poter ricavare i soldi necessari (tra i 300 e i 350 milioni di euro) per la costruzione della stazione Isozaki.

In realtà, secondo alcuni, quelle stime, che risalgono al 2006, sono erano già allora piuttosto «generose». Valori che ora sono completamente fuori mercato: tanto che se si riuscisse a trovare un compratore (anche più di uno) di tutte le aree di proprietà delle ferrovie inserite nel Puvat, il ricavo possibile sarebbe di appena 100 milioni. E anche in questo caso c’è chi parla di stime gonfiate.

Questi scenari sono ben presenti a Moretti e ai dirigenti del Gruppo Fs. A tal punto che più avanzava la crisi e più nei corridoi delle Ferrovie si ipotizzavano soluzioni alternative al faraonico progetto presentato al tempo del sindaco Cofferati nel 2007.

Doveva essere la «porta di accesso qualificata, funzionale e integrata per la città e per il sistema metropolitano e regionale», con negozi e spazi commerciali e una grande volta candida, ma più la crisi mordeva e più si studiavano soluzioni alternative.

A voce più o meno alta, nei corridoi delle Ferrovie prima si è avanzata l’idea di ridurre i volumi dell’opera di Isozaki, riducendone così anche i costi; poi, c’è chi ha proposto di abbandonare il progetto faraonico e ripiegare su di una diversa sistemazione della nuova stazione sotterranea Av creando, nel grande catino ricavato sotto il piano stradale, gli spazi commerciali previsti nel progetto originale.

D’altra parte Moretti è stato chiaro: «La stazione Termini l’abbiamo fatta vendendo terreni edificabili e recuperando così i fondi necessari – ha detto l’ex sindacalista-. Per Bologna i soldi non li abbiamo». Sul nodo bolognese, uno dei più importanti a livello nazionale, «abbiamo investito tanti di quei quattrini che per un po’ di tempo aspetteremo a investire, sia in termini di infrastrutture pesanti che di tecnologia». Che suona come un «Isozaki, addio».