Gli allarmi si susseguono ma rimangono privi di una base statistica attendibile. Secondo quanto riferisce l’Ansa, nei primi 7 mesi del 2013 sono sbarcate in Italia circa 12 mila persone, contro le 50 mila del 2011. Nel mese di agosto gli sbarchi si sono intensificati, ma comunque si sono mantenuti al livello di alcuni anni precedenti, come il 2008, addirittura meno che alla fine degli anni ’90, e dunque non dovevano costituire un evento straordinario.

Ma le istituzioni italiane di fronte a questi prevedibili eventi si sono fatte trovare del tutto impreparate, riuscendo solo a moltiplicare gli allarmi, fino al rischio terrorismo, diffuso dai soliti servizi segreti e rilanciato persino dal ministro dell’interno Alfano, con una gestione degli sbarchi affidata esclusivamente ai prefetti ed ai nuclei antimmigrazione.

Si torna a parlare di emergenza sbarchi, in particolare per l’arrivo di alcune migliaia di profughi dalla Siria, dopo che il governo, lo scorso 28 febbraio, ha proclamato la fine della cosiddetta Emergenza Nordafrica, che era stata caratterizzata da una forte presenza della Protezione Civile, nelle sue articolazioni a livello regionale, del Comitato per i minori stranieri e di Natale Forlani, nominato nel 2011 Commissario per l’emergenza minori stranieri non accompagnati.

Il passaggio ad un sistema di accoglienza ordinario avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il coordinamento e la programmazione delle diverse fasi da parte di tavoli regionali, che avrebbero dovuto coordinare l’attività dei prefetti nelle diverse province, con il monitoraggio delle persone presenti, delle risorse impiegate, dei percorsi di inserimento attivati. Sono stati invece i prefetti a gestire questa tormentata fase estiva della nuova emergenza sbarchi, dopo che nel 2011 era già emersa l’incapacità delle prefetture a gestire (come avvenne dal 12 febbraio al 30 giungo di quell’anno) qualsiasi situazione di emergenza derivate dall’arrivo più consistente di migranti, sempre più spesso veri e propri profughi di guerra.

In Sicilia si sono così moltiplicati i centri di prima accoglienza aperti dalle prefetture in virtù dalla legge Puglia del 1995, luoghi dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, talora del tutto a porte aperte, ma senza alcuna mediazione ed informazione legale, talvolta veri e propri centri di detenzione informale, utilizzati dalle forze di polizia e dalla magistratura alla ricerca dei soliti scafisti da gettare in pasto all’opinione pubblica. Gli arresti degli scafisti, anche quindici su una unica imbarcazione, potrebbero distogliere l’attenzione dalle clamorose lacune del sistema di accoglienza e dai frequenti allontanamenti.

Le pressanti indagini di polizia, subito dopo gli sbarchi accrescono le fughe dei migranti che rimangono liberi di uscire dai centri di prima accoglienza, anche per gli effetti perversi del regolamento Dublino II che inchioda in Italia, senza una prospettiva credibile di integrazione, gli immigrati identificati dopo lo sbarco. Per le persone coinvolte in questo meccanismo di prima accoglienza in centri «informali», l’immediato rilievo «forzato» delle impronte digitali, la prospettiva di una lunga attesa in condizioni disumane di sovraffollamento, una totale carenza di informazioni e di assistenza legale, una grande difficoltà di accesso alla procedura di asilo e ad un vero sistema di accoglienza, nessuna prospettiva di integrazione.

Tutte ragioni che spiegano il ripetersi di fughe di massa. Ed è anche alto il rischio, per coloro che vengono ritenuti egiziani, di essere arrestati e processati come “scafisti”, quando non scattano immediatamente le misure di rimpatrio collettivo, sulla base di un accordo bilaterale con l’Egitto che contrasta con le normative internazionali e con la legge italiana che prevede un’identificazione completa prima dell’allontanamento forzato.

Sempre più drammatica la situazione dei minori stranieri non accompagnati, che ormai rappresentano una parte rilevante dei profughi salvati in mare aperto o sbarcati sulle coste dopo che le loro imbarcazioni si sono arenate. Si deve impedire che nelle regioni di primo arrivo, come la Sicilia, si prosegua con la prassi secondo la quale il collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia, o delle Prefetture, direttamente presso strutture di accoglienza che sono destinate ai minori italiani in condizioni di abbandono, al di fuori di qualsiasi piano regionale, senza il previo accordo e autorizzazione con gli enti locali territorialmente competenti. Ed anche sulle strutture di accoglienza per minori andrebbe effettuato un monitoraggio continuo, che fin qui si è svolto solo in rare occasioni.