Il segreto degli islamisti sta nel concedere ciò che lo stato nega. Soprattutto nelle campagne e nell’Egitto profondo, dove il successo elettorale e politico della Fratellanza è stato massiccio. E lo scontro tra le grandi città e le immense province, ancora di più tra centri urbani e miriadi di minuscoli villaggi, diventa insanabile.

Per capire meglio come costruisce il suo consenso un movimento che sta facendo della resistenza pacifica al colpo di stato militare una strategia di sopravvivenza politica, abbiamo raggiunto il villaggio di Maghaga, a un’ora di microbus dalla città di Minia. Qui i pro Morsi sono una maggioranza schiacciante. Bambini nuotano nelle acque cristalline del Nilo, per le strade galoppano cavalli e si affaticano smunti asinelli. Un giovane fotoreporter, Ahmed Hayman, aveva visitato questo villaggio nel 2010, scoprendo che migliaia di famiglie non hanno l’acqua corrente in casa. «Mi ha impressionato il colore dei loro volti e l’odore delle loro case: sembravano tutti seriamente malati. E alcuni lo erano davvero, tutti molto giovani eppure con un volto da anziani», ci racconta Ahmed, che si è dato immediatamente da fare e ha lanciato una sottoscrizione, avvalendosi dell’aiuto di una organizzazione non governativa locale vicina ai Fratelli musulmani, Al-Ghameya. «Abbiamo subito costruito le connessioni con le tubature centrali per oltre 50 famiglie. Ma questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di Ahmed Bahr e dei suoi amici», prosegue Hayman.

Chilometri di campi di grano, pecore in pascolo e strade non asfaltate rivelano al nostro sguardo un villaggio poverissimo, dove un gruppo di donne lava i panni nel Nilo. Usano spesso per cucinare e lavarsi un’acqua torbida e non potabile, oppure si recano dai vicini più fortunati, che hanno l’acqua corrente in casa. Proprio a Maghaga incontriamo gli uomini e le donne di questa associazione e ci muoviamo con il camioncino di Yussef, il cui vetro è andato in frantumi per mano di alcuni giovani anti-Morsi. Anche qui la rivalità tra islamisti e sostenitori dell’esercito è presente, ma è ancora più marcata nel centro di Minia. «Non ci occupiamo solo di acqua, ma anche di fornire vestiti e rendere possibili i matrimoni, comprando mobili ed elettrodomestici», continuano. Passano per i minuscoli vicoli di Maghaga donne con mucche al guinzaglio. Almeno 4mila persone, solo qui, non hanno l’acqua in casa. Visitiamo l’abitazione di Ahmed Salah, che lavora al Cairo per la ong Islamic Relief, insieme a lui ci accoglie Mustafa, suo fratello psichiatra che vive in Kuwait. «Eravamo sulla strada della democrazia e Morsi tentava di migliorare il paese», ci assicurano i due sostenitori dei Fratelli musulmani. E mostrano un video delle manifestazioni pro-Morsi nelle città di Qena e Beni Suif. Si vede una folla immensa, mentre sullo schermo televisivo scorrono le immagini della «Repubblica islamica» di Rabaa al-Adaweya al Cairo.

Il sogno dell’acqua corrente

Ma come lavora questa ong islamista? «Per ogni estensione delle tubature fino all’abitazione dei poveri abitanti di Maghaga, paghiamo alla Compagnia generale pubblica dell’Acqua 1500 ghinee (160 euro). Dopo aver versato questi soldi, gli ingegneri civili in 15 giorni procedono con i lavori», chiariscono. Ecco come si mette in pratica l’azione di sostituzione dello stato dei Fratelli. Questo comporta una gratitudine politica eterna da parte dei poveri beneficiari che si manifesta nel voto.
Visitiamo alcune di queste famiglie la cui vita è cambiata da quando hanno l’acqua potabile in casa oppure sono in attesa di averla. Nafisa lavora come contadina per 30 ghinee al giorno (3,5 euro) e vive con un bambino disabile di 11 anni. Ma qui tutti hanno l’aria di non godere di buona salute. «Per anni abbiamo chiesto acqua ai vicini, ora finalmente ho il mio rubinetto», dice mostrando i lavori con soddisfazione. Anche Karam e Abdallah, poco lontano, hanno vissuto con i loro bambini per venti anni senza acqua né bagno in casa e in un’abitazione fatta di travi e paglia. «Ma ora vorrei solo una casa migliore e lavoreremo per questo», aggiunge Karam, che fa la bidella nella scuola vicina. Nagiba, 75 anni, ha passato tutta la sua vita a sognare di avere l’acqua e forse presto i Fratelli musulmani renderanno questo sogno realtà.

Tutti loro, quasi inconsapevolmente sostengono Morsi. Solo il contadino Ahmed, 67 anni, ha il coraggio di dire che «preferirebbe qualcun altro come presidente per il bene del paese», ma i nostri accompagnatori fanno finta di non capire.

I pro-Morsi a Minia occupano piazza Palace, nel centro della città. Il traffico è completamente in tilt, cittadini si sostituiscono alla polizia per regolare il passaggio delle vetture. Centinaia di giovani, donne e bambini sono accampati nella piazza, una piccola riproduzione di Rabaa el-Adaweya al Cairo. Qui si prendono in giro i ministri dell’Interno e della Difesa tra decine di venditori ambulanti. Intorno ci sono i negozianti della piazza seriamente contrariati. Visitiamo la farmacia di Hani. «Ci siamo riuniti con i commercianti di piazza Palace per chiedere alla polizia di porre fine a questa occupazione permanente. Siamo stati tutti danneggiati dalla presidenza Morsi», prosegue Hani, veramente esasperato dalla resistenza islamista. «Guarda le loro facce, sono analfabeti dei villaggi che occupano il centro di Minia. Litigano in continuazione con giornalai e negozianti. Un nostro vicino, Saber, è andato a Rabaa e non è mai tornato. Dicono sia stato ucciso il 26 luglio scorso», continua Hani, che rivela di trovare ogni mattina insulti scritti sulla saracinesca del suo negozio.

La protesta di Omar Makram

Nella notte dello scorso sabato, proprio in scontri tra cristiani e musulmani nella provincia di Minia sono state ferite 15 persone. Queste rivalità vengono attivate in frangenti caotici come questo. E così non stupisce se si susseguono episodi di copti uccisi o chiese prese d’assalto in tutto il paese. Su un affollatissimo treno, pieno di centinaia di persone, che porta ad Assiut, incontriamo Peter. I viaggi da queste parti sono costantemente interrotti da predatori che assaltano i treni. Peter è un giovane copto: i cristiani di questa grande città sono molto religiosi. Si sprecano le leggende di riti particolari per la circoncisione di bambini copti fatti di spade e recite della Bibbia.

Qui sono avvenuti le sparatorie e gli scontri più sanguinosi tra le due comunità degli ultimi anni. Peter ha 21 anni e fa l’ingegnere. «Il popolo dei Fratelli musulmani, anche se ha le sue idee radicate, è molto più semplice dei suoi leader», ammette il giovane, che racconta della grande manifestazione del 30 giugno (anti-Morsi) anche nel suo villaggio di Mallawi, non lontano da Assiut. «I Fratelli manifestano diversamente, occupano una piazza e vendono i loro materiali di propaganda. Spesso gli adulti copti del mio villaggio parlavano pacificamente con loro (ha le lacrime agli occhi). Ma prima del 30 giugno erano pronti ad ucciderci se fossimo scesi in piazza, ora sono loro pronti a morire, mi sembrano completamente indifesi», prosegue. Ma il giovane copto Mokna, il cui fratello studia in Italia, non concorda: «I Fratelli sanno lavorare con i poveri e come associazione, ma la presidenza non era posto per Morsi».

Anche qui i pro-Morsi hanno occupato la piazza centrale, intorno alla moschea Omar Makram. Dopo un lungo comizio, ha inizio il corteo. Un’immensa fila di donne percorre via Ferial e via Gomorreya, bloccando completamente il traffico. La marcia passa per l’edificio della Sicurezza di Stato, qui la polizia è completamente assente e i carri armati dell’esercito proteggono solo l’Amn el Dawla. Per le strade sfilano centinaia di madri con i loro figli e bandiere tra le mani. Urlano il loro sostegno a Morsi e contro l’esercito, mentre i ragazzi su un camioncino fanno volantinaggio tra la folla.

A Shaida Badir invece vivono i copti di Assiut. È un quartiere antichissimo, le cui case sono colorate di un rosso intenso. Entriamo nella cattedrale ortodossa Matroneia dove alcuni ragazzi si attardano dopo la preghiera della mattina. «Siamo con Sisi», inizia Sami. «A noi piacciono i Fratelli musulmani, ma non in politica», ribatte Bishoy, ottimo calciatore nella squadra della parrocchia. Si avvicina un professore di storia che ci chiede la differenza tra le rivoluzioni del 1952 e del 2013. Ma, riferendosi alla Fratellanza, considera sbagliato che chi ha passato tanti anni in prigione sia ora in politica. Sami e Bishoy, dopo la messa, vanno a visitare alcune famiglie di bambini orfani. Partecipano a un matrimonio di cristiani insieme, dove sono invitati decine di musulmani. Questi ragazzi per il Ramadan non mangiano in strada per rispetto del digiuno dei loro coetanei musulmani.

Settarismo esasperato

Assiut è il governatorato più povero in Egitto. Non solo gravissimi disastri ferroviari hanno colpito questa città, ma l’esasperazione del settarismo religioso. Puntare sulle rivalità tra copti e musulmani, e in generale contro le minoranze, sulla diffidenza verso gli stranieri, e anche sulle violenze di piazza contro le donne, serve a generare la necessità del ritorno all’ordine. Per creare queste rivalità, prima sono stati attivati i movimenti salafiti, poi la campagna di raccolta firme Tamarrod.

Da questo viaggio nella campagna ci sembra chiaro invece che l’unica distinzione insanabile in Egitto è tra sterminata provincia e il governatorato del Cairo. I Fratelli musulmani hanno saputo puntare per decenni sul consenso tra i poveri, colmando le lacune dello stato. Ma in termini elettorali e di aspirazioni, il grande sogno di un uomo della campagna nel palazzo presidenziale è forse durato troppo poco.