Il sistema educativo cubano è il migliore dell’America latina e dei Caraibi e l’unico del subcontinente che può essere paragonato a quello dei paesi sviluppati. È questo il giudizio espresso dalla Banca mondiale nel suo ultimo report (intitolato Professori eccellenti) sull’insegnamento in America latina e nel Caribe. L’istituzione guida del neoliberismo mondiale afferma, infatti, che Cuba possiede un corpo insegnante di buona qualità che presenta parametri elevati – in talento accademico, autonomia professionale, rendimento – tali da poter essere messo sullo stesso piano di paesi all’avanguardia, dalla Finlandia, alla Corea del Sud, passando per Singapore, Cina e Svizzera.
Non è certo il primo né l’unico riconoscimento che la maggiore delle isole caraibiche ottiene a livello internazionale ed è il frutto della scelta di base attuata dalla rivoluzione castrista che fin dall’inizio, dal 1959, ha puntato su un sistema che permetta l’accesso universale e gratuito alla salute e all’educazione, ottenendo risultati straordinari, sradicando l’analfabetismo (il tasso di scolarizzazione nella primaria – le nostre elementari – è del 100% e alla secondaria del 99,7%), mentre il tasso di mortalità infantile è inferiore a quello degli Usa. Per l’insegnamento Cuba stanzia il 13% del bilancio nazionale: più del triplo di quanto faccia il governo Renzi.
In un’inchiesta dedicata al tema dell’insegnamento il quotidiano della gioventù comunista, Juventud Rebelde, scrive che «lo Stato cubano… si fa carico della strutturazione e del funzionamento di un sistema nazionale di educazione… fondato su cinque principi basici: 1) scuola di massa e basata sull’equità, dunque l’educazione come diritto e dovere di tutti i cittadini (anche i villaggi sperduti nella montagna hanno una scuola); 2) studio legato al lavoro, per un’integrazione dell’educazione con l’economia; 3) la partecipazione democratica di tutta la società nel compito dell’educazione del popolo; 4) coeducazione e scuola aperta alla diversità, per garantire uguaglianza di accesso a tutti i gradi dell’istruzione senza discriminazione di sesso, razza, religione e provenienza sociale; 5) gratuità: agli studenti vengono forniti gratis libri di testo e materiale educativo e, nelle primarie e secondarie, anche un capo della divisa – pantaloni e camicia. Per chi sceglie il sistema a tempo pieno, la scuola provvede a un pasto quasi gratuito (nella primaria, la mensa costa circa 50 centesimi di euro al mese – avete letto bene! – anche se, in generale, è di bassa qualità). Insomma, lo Stato prende in carico tutti gli alunni dall’età di cinque anni (prescolar) fino, per chi merita, all’università, in un sistema scolastico gratuito che pretende di coniugare educazione di massa e educazione di qualità. Uno sforzo enorme se si pensa che Cuba vanta un maestro ogni 43 abitanti (la media nazionale è di 11,5 alunni per maestro nella primaria e secondaria e di 4,7 alunni per professore nelle superiori). Nell’isola, poi, esistono 162 istituti di livello universitario (compresa una famosa università internazionale di medicina e una scuola internazionale di cinema).
Non male, per un piccolo paese che gli Stati Uniti sottopongono da più di cinquant’anni a un brutale blocco economico che è costato a Cuba centinaia di milioni di dollari. Ma , proprio il sommarsi degli effetti del bloqueo e della crisi conomica, più un gigantesco burocratismo dovuto al controllo centralizzato di tutto il settore, hanno messo il sistema educativo, dalla fine del secolo scorso, in un continuo stato di emergenza: il deficit di professori, i bassi salari (meno di venti euro al mese), le difficili condizioni di lavoro e di studio (mancanza di supporto tecnico) e negli ultimi anni un serio problema di corruzione (legato ai bassi salari) e una crescente insoddisfazione delle famiglie hanno indotto il governo a varare una serie di riforme per migliorare e rendere più efficace il sistema di insegnamento.
Le ultime misure sono state varate a partire dall’anno accademico in corso e prevedono l’incorporamento di 7000 nuovi maestri, giovani diplomati nelle scuole di pedagogia, per coprire i ruoli specialmente nelle scuole periferiche. Inoltre le nuove misure – in linea con le riforme economiche e sociali – prevedono la concessione agli istituti di una maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli orari e delle materie complementari di insegnamento. Nella primaria, ad esempio, si possono concentrare gli insegnamenti basici (spagnolo, matematica, «il mondo in cui viviamo») nelle quattro ore di scuola del mattino, mentre le due ore del pomeriggio sono riservate agli «specialisti», docenti d’arte e di musica, inglese e informatica o professori di educazione fisica (mio figlio fa tennis quattro pomeriggi la settimana, ndr).
Un cambio radicale è stato annunciato per gli esami di ingresso all’università (vi si accede, in generale, dopo tre anni di scuola preuniversitaria) a partire dallo scandalo scoppiato la scorsa estate per le massicce frodi accertate, che hanno portato ad arresti e misure disciplinari di professori che vendevano le prove e inficiavano una parte degli esami. Non vi saranno questionari segreti nelle tre materie d’esame – spagnolo, matematica, storia – ma si comunicheranno in anticipo cento domande e a ogni allievo verranno rivolte cinque domande scelte a caso per ciascuna materia.