Volevano manifestare contro le iniquità fiscali e previdenziali imposte agli avvocati under 45 dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza a Roma, in Via Ennio Quirino Visconti, ma il loro speakers’ corner è stato spostato nell’immensa piazza Cavour dove ha sede la Cassazione. E dove il «palazzaccio» raccontato da Emilio Betti incombe. Gli avvocati della Mobilitazione generale (Mga), un gruppo che sta rinnovando la politica forense prima con facebook oggi con i corpi, non si sono dati per vinti. Hanno fatto appello a quella che chiamano «coalizione» e grazie alle reti dello «sciopero sociale» si sono procurati un generatore per il microfono, un computer e una scaletta dove salire per parlare davanti ad una platea di duecento persone in rappresentanza di professioni e categorie come i giornalisti, commercialisti, architetti, archivisti, farmacisti, geometri, lavoratori autonomi, studenti e precari.

Di prima mattina, non è stato facile. Un’avvocatessa ha denunciato un episodio spiacevole. Sembra che un funzionario della Cassa abbia strappato le foto dei selfie attacchinati ad un muro, usando un coltello per far scoppiare palloncini, sostenendo che quei muri non potevano essere toccati. All’alba l’aiuola dove si è svolto lo speakers’ corner è stata concimata. «Di venerdì non si fa mai, cos’è un boicottaggio?» ha detto un avvocato cassazionista. In effetti l’olezzo non era proproprio gradevole, ma il presunto tentativo di boicottaggio ha fatto sorridere più di qualcuno.

La tensione si è sciolta quando sono iniziati gli interventi. Il concetto più ricorrente è stato quello di «solidarietà» usato in due forme: interprofessionale e intercategoriale, come si legge nel breve comunicato finale redatto al termine di un’assemblea che si è svolta nel pomeriggio all’ordine degli architetti in piazza Manfredo Fanti a Roma. Tra autonomi, educati all’ideologia del «professionalismo borghese», è emerso un altro aspetto decisivo: il sentirsi parte di una «coalizione sociale» in qualità di «lavoratori» e «cittadini» prima ancora che come «professionisti», «precari» o «partite Iva». Sintomo di un cambio di mentalità culturale iniziato quando, una decina di anni fa, l’associazione dei freelance Acta si è impegnata nella battaglia per l’equità della gestione separata dell’Inps. Ieri a Roma la stessa rivendicazione ha assunto un profilo generale, tenendo insieme il lavoro autonomo ordinistico e non ordinistico.

La precarietà ha invaso le professioni ha ricordato il segretario di Stampa Romana Lazzaro Pappagallo che chiede «al governo riforme ampie e partecipate anche al 60% dei giornalisti non subordinati» oltre a una riforma «previdenziale e un fisco più equo». Gli avvocati e gli altri professionisti hanno descritto i problemi generati dalla riforma delle professioni voluta dal governo Monti nel 2012. Per garantire la «sostenibilità» delle casse previdenziali, Monti impose criteri censuari per lo svolgimento di una professione, peggiorando una situazione già critica. Oggi questi professionisti dicono che può lavorare solo chi ha un reddito ritenuto adeguato (15 mila euro per gli avvocati).

Chi non risponde a questo criterio di classe o non ha un genitore che esercita la sua stessa professione resterà disoccupato. Vale per tutti, dagli avvocati ai farmacisti. «Noi non chiediamo di non pagare la previdenza – ha detto Cosimo Matteucci, presidente di Mga – ma non possono fare gli avvocati solo i più abbienti. Chiediamo una riforma degli ammortizzatori sociali e un sistema fiscale compatibile con la vita». «Accede alla professione solo chi è un “figlio di” e dispone di grandi capitali – ha detto Davide Gullotta, presidente della Federazione nazionale parafarmacie italiane – Chi ha una competenza e ha studiato non viene tutelato». Sono le ragioni che hanno alimentato in questi anni la protesta contro le «caste» ma che in questa prospettiva inedita assume il profilo di una critica ad una società classista e elitaria, dove la mobilità sociale è bloccata da una struttura oligarchica.

Per Cristian Sica dello Sciopero Sociale queste mobilitazioni del lavoro indipendente stanno rivelando una «leadership collettiva» e hanno compreso che la soluzione non è il corporativismo degli ordini professionali. La proposta è quella di una riforma universale del Welfare sostiene Francesco Raparelli delle Camere del lavoro e del non lavoro. Il percorso di questa «coalizione sociale» è all’inizio. Nelle prossime settimane si vuole proporre una «carovana» che sollevi il problema dell’equità fiscale e previdenziale davanti all’Inps e alle singole casse professionali.