Il Biodistretto della Via Amerina e del- le Forre è un progetto attivo già da undici anni e ha come obiettivo principale la difesa e la valorizzazione territorio in tutti i suoi aspetti. La sua rete di collegamenti va dalla bassa Tuscia viterbese alla zona adiacente ai monti Cimini. «È qui che l’impatto della monocoltura delle nocciole è più evidente», dice Famiano Crucianelli, presidente del biodistretto. «Tempo fa si coltivava la nocciola solo sui 500/600 metri sopra il livello del mare, ed era una risorsa locale. Adesso si è persa la naturalezza di queste tradizioni. Con l’espansione voluta dalla Ferrero, implementata attraverso contratti con vari produttori, si è industrializzato il processo produttivo e si coltiva molto più vicino al mare, anche a meno di 200m s.l.m.: questo sta causando ingenti danni alla biodiversità locale e rischia di intaccare anche le riserve d’acqua nel sottosuolo».

Gli interessi della multinazionale stan- no modificando il territorio: l’ampliamento della monocoltura è stato accompagnato dall’aumento di pesticidi usati. Tali sostanze sono sempre più usate per rispettare i rigidi standard presenti nel contratto della Ferrero: sulle nocciole infatti non devono esserci imperfezioni o ammaccature dovute ai morsi di cimici. I trattamenti chimici perciò sono visti come un modo veloce per rispettare gli standard ed avere un’entrata economica sicura. «Non si accetta la naturalezza di un prodotto, e il messaggio che traspare è che il profitto è al di sopra del benessere dell’ecosistema» dice Crucianelli. «Per loro siamo come una miniera: estraggono e poi portano il prodotto in altri posti per la trasformazione. Non lasciano spazio al dialogo». Il Biodistretto ha più volte cercato un confronto con la multinazionale per trovare un modo di coltivare usando metodi non invasivi e rispettosi dell’ecosistema. «Non siamo contro le nocciole, sono una risorsa del territorio, ma che si agisca nel rispetto di chi vive questi posti, che si coltivi in maniera sostenibile, che la Ferrero finanzi la ricerca per nuovi metodi di coltivazione. Molte volte abbiamo invitato i rappresentanti dell’azienda a partecipare a incontri e conferenze, ma non hanno mai risposto. A quanto pare il biologico non rientra nella strategia di mercato, e così si continua a usare il glifosato ed altri agenti che mettono in pericolo la fauna locale, come le api» conclude Crucianelli.

Diversi comuni della Tuscia e dell’orvietano si stanno schierando contro l’uso di pesticidi e fertilizzanti tramite ordinanze comunali che regolerebbero la frequenza e la quantità d’uso di tali sostanze. «Stiamo cercando di far rispettare nel modo più rigoroso le ordinanze già esistenti che regolano l’uso di sostanze chimiche. Nel Viterbese, e adesso anche nell’orvietano, inizia ad esserci più consapevolezza sull’impatto nocivo dell’agricoltura intensiva» spiega Crucianelli. Per far ciò il biodistretto si è avvalso della partecipazione attiva di agronomi, ricercatori universitari e contadini che praticano il biologico, al fine di bloccare l’avanzata di pesticidi, fornire valide alternative biologiche e permettere, nel lungo termine, una transizione ecologica.

«L’agricoltura è il grande campo di battaglia nella lotta contro il cambiamento climatico, dobbiamo agire in modo deciso su tutti i territori per prenderci cura di ciò che abbiamo. Recentemente, anche il comune di Nepi si è mosso per emanare un’ordinanza che limiti l’uso indiscriminato di fitofarmaci. È una cosa positiva e dobbiamo continuare su questa strada» conclude.