Nel Pd «c’è bisogno di una figura autorevole, che sappia finalmente ascoltare, riconciliare, tranquillizzare ma anche decidere» e questa figura può essere Nicola Zingaretti, «se intensifica il lavoro di allargamento e di pacificazione che ha iniziato» ma «lo dovranno decidere le centinaia di migliaia di cittadini che voteranno alle primarie».

Romano Prodi ci ha ripensato. Solo pochi giorni fa aveva detto di non vedere né un leader né un progetto nelle Pd impegnato nelle primarie. Ieri invece con un’intervista a Repubblica ha formulato un endorsement in piena regola per Zingaretti. In mezzo c’è stato un pranzo bolognese di ’chiarimento’ fra i due – che fin lì non si erano parlati – e anche il lavorio di Sandra Zampa, ex deputata Pd e storica portavoce di Prodi, a favore delpresidente del Lazio.

Così Zingaretti si aggiudica la agognata benedizione del padre dell’Ulivo e dell’Unione, le coalizioni di centrosinistra che hanno vinto (ai tempi del maggioritario). Il professore, che giura di voler fare solo «il nonno» e dispensare consigli, torna ad avvicinarsi al Pd dopo gli anni in cui aveva levato «la tenda», insomma gli anni renziani. Il fatto è poco più che simbolico ma abbastanza per far indispettire lo sfidante Maurizio Martina: «Io penso che al Pd, oggi come mai, servano figli, più che padri», dice, rispolverando il renzianissimo concetto di rottamazione, «Penso a una nuova generazione in campo per combattere questa destra pericolosa e rilanciare il nostro impegno fondamentale per la nuova Europa».

Prodi non è piaciuto neanche a Carlo Calenda, che dopo gli iniziali entusiasmi – tutti diplomatici, ma lo capisce solo ora – comincia a vedere allungata la lista degli scettici sulla sua operazione «Siamo europei». Una cosa è diventare «papà del Pd», dice, un’altra di «tutto il centrosinistra allargato». Allargato ma chiuso a sinistra, nella versione calendiana che respinge gli ex Pd e incassa molto scetticismo da parte di +Europa e Italia in Comune di Pizzarotti, sui quali aveva contato.
Un’idea che non è quella di Zingaretti, ormai è chiaro, che invece ha aperto le porte – fin qui con molte cautele, persino pericolosamente troppe – a un pezzo della sinistra a sinistra del Pd tramite il suo braccio destro Massimiliano Smeriglio e la ex presidente della Camera Laura Boldrini.

Ma Prodi avverte anche che «un leader prende la sua forza dal popolo». Insomma indica il vero punto della competizione, l’affluenza alle primarie. Zingaretti sa che la vittoria senza una partecipazione di almeno un milione di votanti – questa l’asticella che circola, anche tutti negano – produrrebbe un segretario debole, dentro e fuori dal partito. Per questo ora il massimo sforzo di Piazza Grande, il suo movimento-mozione è tutto per la mobilitazione. Iinsieme a Martina sabato 9 febbraio sarà a Roma alla prima grande mobilitazione unitaria di Cgile Cisl e Uil. E per questo ha organizzato una «mobilitazione» dei suoi dal 15 al 17 febbraio. Gli ultimi sondaggi lo danno in testa con il 55 per cento, secondo Martina con il 37 e Giachetti staccato con l’8. E infine per questo ha in programma una serie di appelli» rivolti agli elettori e agli ex elettori ormai lontani dal Pd. Il primo è arrivato ieri: «Al popolo del centrosinistra dico che è tempo di ricostruire una proposta e una identità diversa per l’Italia. Io ce la metterò tutta da parte mia, ma tutti si devono sentire investiti da questa missione democratica».