Riforme sguaiate e scoordinate. Non ci va leggero Romano Prodi nel criticare la riforma costituzionale alla quale sempre più il governo Renzi sta legando il suo destino. Probabile che il professore si sia risentito dopo aver ascoltato il presidente del Consiglio mettere sullo stesso piano berlusconismo e antiberlusconismo, entrambi responsabili a suo dire di «venti anni di politica con il tasto pausa».
E Prodi ricambia, in un colloquio con Repubblica: «Mi pare che non sia il momento delle riflessioni serene, da rivedere e da ripensare c’è tanto. Ma oggi ci si muove per contrapposizioni e così non riusciremo a fare una riforma seria». Pronostico rassegnato e definitivo, che accompagna il giudizio critico: «La prima parte della Costituzione ha validità totale, la seconda non ha funzionato bene, però non mettiamoci mano in modo sguaiato e scoordinato, perché non si arriverebbe a capo di nulla. Ritengo che per questa modifica ci vorrebbe del tempo».

Tempo che Renzi non ha alcuna intenzione di concedere. Ed è per questo che nelle sue intenzioni alla ripresa della discussione in senato non si dovrebbe riaprire la questione dell’elezione diretta dei nuovi senatori. È la principale delle richieste della minoranza Pd, che conta sulla carta un numero di voti – ventotto – sufficienti a mandare sotto l’esecutivo. Da qui la continua minaccia di elezioni anticipate nel caso sulla riforma costituzionale non dovesse andare a finire come vuole il presidente del Consiglio. Ma è una minaccia spuntata, argomenta uno dei senatori della minoranza Pd, Chiti: «L’arma da ogni punto di vista è scarica, nessuno baratta valori e convenienze, Oltretutto il richiamo irresponsabile e non rispettoso delle funzioni del capo dello stato al voto anticipato fa toccare con mano ciò che sarebbe l’Italia di domani, con un rafforzamento dei poteri del premier senza equilibri o per usare dimenticare parole di Renzi, senza pesi e contrappesi».
L’esame del disegno di legge di revisione costituzionale firmato Renzi e Boschi riprenderà in prima commissione al senato il prossimo 8 settembre. Allora la presidente della commissione Finocchiaro dovrà prendere una decisione sull’ammissibilità degli emendamenti all’articolo 2, quello dove dopo due passaggi al senato e alla camera si è consolidato il sistema dell’elezione dei nuovi senatori da e tra i consiglieri regionali. Ma la parola finale spetterà al presidente del senato Grasso, sul quale non a caso i renziani di ogni ordine e grado stanno concentrando le pressioni. La minoranza Pd assicura che questa volta manterrà le sue posizioni anche a rischio di fermare la riforma. «Il grande obiettivo del centrosinistra è sempre stato il superamento del bicameralismo perfetto, questo risultato storico è a portata di mano se solo si utilizzasse il tempo alla ricerca di un accordo possibile sul senato elettivo», ha detto il senatore Fornaro, uno dei 28 «dissidenti». Renzi però immagina che alla fine, saranno assai meno di 28 e non risulteranno decisivi, del resto è già andata così altre volte. Ma un certo nervosismo nella minoranza si evidenza anche nella risposta piccata che una guardia del corpo del renzismo, il deputato Carbone, riserva a Romano Prodi: «Le riforme se fossero avvenute al tempo di Prodi, come da suo stesso programma elettorale, avrebbero cambiato notevolmente il corso politico di questo paese». red. pol.