La procura di Roma ha chiesto la convalida dell’arresto per Alessio Manzo, il 19enne romano che sabato notte, insieme ad almeno altre dieci persone, ha aggredito due immigrati in pizza Cairoli, a Roma. Le vittime, un cittadino bengalese e uno egiziano, lavorano entrambe in un ristorante del centro storico e stavano rientrando a casa una volta finito il turno. A Manzo i magistrati contestano il reato di tentato omicidio aggravato dall’odio razziale. Insieme a al diciannovenne sono stati identificate e denunciate per lesioni altre quattro persone, tra le quali un minorenne.

L’aggressione è avventa verso le due del mattino di sabato scorso, quando i due immigrati sono stati avvistati dal branco a poca distanza dal ministero della Giustizia in via Arenula. Prima gli insulti («Sporco negro», «Gli immigrati via dall’Italia») poi il pestaggio etremamente violento con calci a pugni ai due malcapitati. Non contento, alla fine invece di allontanarsi con gli altri Manzo è tornato indietro e ha preso a calci in faccia e sulla testa Chodro Karkik, 27 anni, bengalese. Se non lo ha ucciso molto probabilmente è solo per l’intervento di due ragazze, anche loro appartenenti al gruppo, che lo hanno fermato. Karkik ha riportato ferite guaribili in trenta giorni.

Nell’abitazione di Manzo, estremista di destra, tifoso romanista, ex studente dell’istituto alberghiero di Tor Carbone, durante la perquisizione gli investigatori hanno trovato simboli fascisti, mentre il suo profilo social abbondano i saluti romani e le frasi inneggianti a Mussolini e foto di Hitler. «Se per razzista si intende chi difende la propria patria, allora siamo razzisti», è una delle frasi che si possono leggere.

Adesso gli inquirenti vogliono capire se esiste un collegamento tra i cinque indagati e ambienti del tifo organizzato romanista. Sulla vicenda, che arriva a pochi giorni dal caso degli adesivi antisemiti attaccati da alcuni tifosi della Lazio in curva Sud, è intervenuta anche la Caritas di Roma, sottolineando le responsabilità della politica: «Bisogna far capire ai politici – ha detto il direttore, il monsignor Enrico Feroci – che le loro parole incitano all’odio e possono scatenare la violenza nelle teste calde. Devono stare attenti a ciò che dicono: serve una coscienza culturale che non contribuisca ad aizzare il branco».