Capri è l’isola che vi fa impazzire, diciamo un’amante; Procida l’isola a cui si vuole bene». Questa affettuosa immagine di Procida a firma di Giuseppe Marotta è una delle tante perle che troviamo in Procida Ispira: Un’isola crocevia di culture, di Elisabetta Montaldo e Donatella Pandolfi (Nutrimenti). Nell’anno in cui Procida è stata proclamata capitale italiana della cultura è logico attendersi pubblicazioni che raccontino quest’isola, non conosciuta a fondo neppure nel nostro paese. Questo libro offre un quadro inedito, andando a cercare chi dell’isola ha scritto e trattato, offrendoci un contesto ampio di riferimenti, che immediatamente ci fa capire come Procida sia davvero «un crocevia di culture», ovvero, come legge la fascetta «da 3.500 anni terra di accoglienza per scrittori, artisti e, fotografi, registi e poeti».

Si parte infatti da Apollodoro, che ad Atene associa l’isola ai sommovimenti vulcanici della zona flegrea, inventando dei giganti mitologici. Questa sua natura ribollente percorre l’antichità con fantasie di figure mitologiche straordinarie e la spinge in mare, come per allontanarsi da queste vicende vulcaniche. Del resto in seguito, affondati i suoi crateri, Procida non ha acque e fanghi termali, quindi, invece di attrarre visitatori, ha solcato il mare, con «i più arditi navigatori d’oltremare e oltreoceano» come scrive l’archeologo Maiuri. Gli archeologi hanno documentato che l’isola, in particolare la propaggine di Vivara, era abitata fin dall’età del bronzo, ed è entrata precocemente in contatto con la civiltà micenea. Diventata in seguito emporium romano e successivamente bizantino, il suo porto ha attratto nel tempo chiunque solcasse e dominasse il Mediterraneo.

Come tutto il Meridione, spiega lo storico Amedeo Feniello, è stata soggetta all’Islam e alle razzie dei predoni, come quella dell’812, in cui diversi abitanti dell’isola vennero presi schiavi. A questa parte della storia di Procida Elisabetta Montaldo, una delle due curatrici, ha dedicato anni fa il romanzo Rafila, affascinante per il modo in cui racconta la penetrazione della cultura musulmana nell’area. Mentre nelle narrazioni storiche convenzionali si evidenziano i rapporti coi greci e l’appartenenza dell’area all’impero romano, i rapporti niente affatto passeggeri con l’Islam, di scambio, conflitto e dominazione vengono di solito sottaciuti, ignorando che il contatto con gli arabi, coi loro numeri e il loro approccio filosofico e scientifico ha dato vita a quella cultura meridionale, tra longobardi e normanni e mori, turchi e saraceni, che ha prodotto le influenze arabe in una architettura fatta di cupole, archi e scale a giraffa e l’uso del filo d’oro che ornava gli abiti delle donne dell’isola.

Procida, Santa Maria delle Grazie. Foto Giuseppe Greco/REDA&CO/Universal Images Group via Getty Images

 

Per non parlare della scuola medica di Salerno, dove studia il primo feudatario e consigliere di Federico II, Giovanni da Procida, che funge da tramite fisico tra Oriente e Occidente, come la posizione dell’isola e dei suoi porti al centro del Mediterraneo. A Gian di Procida Boccaccio dedica una novella, in cui un giovane con questo nome cerca di ritrovare la sua bella, rapita da marinai siciliani che l’hanno «donata» a Federico che la tiene nella Qubba a Palermo. I due rischiano di essere arsi vivi, essendo stati scoperti a letto insieme, ma l’ammiraglio Ruggiero li fa liberare, ricordando le origini gloriose del ragazzo. Come nei pupi siciliani, si percepiscono gli echi dei tempi in cui in Meridione la cavalleria cristiana e i mori duellavano lealmente e talvolta si innamoravano.

Nel Trecento l’isola, allora in campo angioino e in pieno pogrom musulmano, cade in mano del pirata-prelato Baldassarre Cossa, un vescovo sanguinario, che, diventato papa viene dichiarato antipapa, e deposto.

Nel 1543 la flotta turco-ottomana di Khair al Din fa tappa a Procida, cercando di unirsi ai francesi contro Carlo V che tentatava di imporre l’egemonia spagnola nel Mediterraneo. Dal Cinquecento gli aragonesi affidano l’isola come feudo alla famiglia D’Avalos, che la regge per due secoli, importando gli splendori dell’architettura romana a Terra Murata.

In pieno Rinascimento Ariosto dedica a Procida una commedia, La cassaria, incentrata su una cassa di filati d’oro che va acquistata nell’isola, principale produttrice di questo prezioso materiale.

Durante l’illuminismo Procida viene studiata come fenomeno vulcanico da Spallanzani ma diventa anche una delle mete del Grand Tour di pittori che ritraggono le belle ragazze dell’isola coi loro preziosi abiti ricamati in oro e paesaggi romantici. Questo è anche il tempo di due celebri romanzi ambientati a Procida, Charles Barimore di Auguste de Forbin e Graziella di Alphonse de Lamartine, entrambi storie tragiche d’amore tra belle figlie di pescatori e stranieri di passaggio.

Il libro segue poi tracce di Procida negli ambienti della canzone, dell’architettura, della pittura, con gli ospiti illustri del critico Cesare Brandi, da Giacomo Manzù a Pratolini e Roland Barthes (che scrive «Lì si raccolgono la calma della luce, il cielo, la terra, alcuni tratti di roccia, un arco alla volta»). Brandi fu tra i primi difensori del paesaggio procidano, che negli anni Sessanta il boom raggiungeva aggressivamente con la costruzione di brutte case, un altro ambientalista è stato Giorgio Punzo con i suoi studi sull’ecosistema di Vivara.

Poi sono giunti scrittori come Elsa Morante, che scrive L’isola di Arturo e che ha fatto spargere qui le sue ceneri. E naturalmente Alberto Moravia per il quale le case di Procida sono «alveari dai colori teneri, scoperchiati e con celle in piena luce», immagini che evocano con immediatezza lo scorcio della Coricella, vista magari dalla spiaggia nera di Chiaia.

Il libro si sofferma poi sulle eredità di questi trascorsi letterari e artistici come la nascita del premio letterario dedicato a Elsa Morante o la mostra in onore di Brandi, Procida quale luogo di elezione per il premio ai traduttori, lo sviluppo di un pensiero ambientalista , il lavoro dello storico demografo Giuseppe Di Taranto, che scoprì inaspettatamente come nel Settecento Procida fosse l’isola più densamente popolata del Mediterraneo, per il suo ruolo cruciale nel commercio marittimo del regno borbonico, il soggiorno del Nobel Josif Brodskij, la creazione nel 2014 della libreria Nutrimenti, con le sue occasioni culturali, che ha pubblicato, oltre a questa preziosa guida, diversi romanzi tra i quali nel 2021 Il turno di Grace di William Wall.

Procidano d’elezione Alessandro Baricco che ha contribuito alla creazione del premio letterario MARetica che celebra «il mare come fulcro dell’immaginario umano», collega, tra gli altri, dello storico distaccato in California, Claudio Fogu, e di Valeria Parrella, la quale ha scritto: «Procida è burbera chiusa, distesa, luminosa, diffidente… Come tutte le bellezze consapevoli della potenza che sprigionano, Procida è altera e sa che sarà amata anche se non ricambia».